Informazioni
Iscriviti alla newsletter
L'indice degli argomenti
Come si spilla la birra?
Come si degusta una
birra?
Dossier Birra e
Salute
© 2002 - 2014 - Tutti i diritti sono riservati, è vietato copiare senza autorizzazione queste pagine.
info@mondobirra.org
L'indice delle notizie
|
Dionisio
Castello
slowine messaggero di gusto e
cultura numero 40, giugno 2003
Nel mondo dell’enogastronomia, quello tra formaggi e
vino è un matrimonio tra i più riusciti, solido e duraturo. Ma perché non
pensare ogni tanto a qualche «innocente evasione», in un triangolo che
veda coinvolta anche la birra? Certo, ci sono formaggi per i quali questo
tradimento sarebbe impossibile, ma ad altri la scossa potrebbe persino far
bene (salvo poi tornare serenamente al ménage familiare con il vino…).
Pensiamo, ad esempio, a certi erborinati estremi come il Cabrales spagnolo
che mette in difficoltà qualunque vino e a cui una volta abbiamo abbinato
persino un rum! Una birra molto alcolica (l’EKU 28 tedesca, o l’austriaca
Urbock, o la Duvel belga fra le tante) potrebbe offrire la risposta
giusta, in grado di addolcire la sapidità del formaggio senza interferire
troppo con le sue note organolettiche. O ancora pensiamo a quei formaggi,
non importa quanto stagionati, che abbiano subìto un processo di
affumicatura, la cui persistenza aromatica tende non solo a coprire quella
del vino ma, peggio, lo modifica fino a snaturarlo. La birra può offrire
la giusta alternativa, permettendoci di combattere con le stesse armi, e
cioè scegliendo delle birre a loro volta affumicate, che assumono il loro
tipico sentore in quanto il malto è fatto essiccare su fuochi ottenuti con
legni di faggio (una tecnica che sopravvive in almeno due birre tedesche,
la Rauchenfels Steinbier della Sailer e la Marzen Rauchbier della Heller).
O infine pensiamo – e qui siamo pronti ad aprire un dibattito-polemica… –
a un «formaggio non formaggio» come la mozzarella di bufala, per la quale
continua a imperversare l’abbinamento con il vino e in particolare, solo
in nome di vaghe affinità geografiche, con l’Asprinio di Aversa. Per quale
ragione un vino duro e acido come l’Asprinio dovrebbe accompagnarsi bene
con un latticino grasso, rotondo, opulento, segnato dai lieviti, resta per
noi un mistero. Mettiamole invece vicino una bella birra di frumento, se
vogliamo giocare sulle affinità di lieviti e crosta di pane, oppure,
all’estremo opposto, una grande trappista, piena e pastosa, in grado di
assecondare la presenza gusto-olfattiva della mozzarella.
La
selezione che segue (ordinata per nazione) non è pensata soltanto in
relazione a possibili abbinamenti con il formaggio, che pure in molti casi
funzionerebbero al meglio, ma come un vademecum per chi è convinto che la
grande birra non sappia dare le stesse emozioni di un grande vino. Sono le
nostre birre del cuore, ma scelte anche con un occhio alla ragione: leggi
rappresentatività stilistica e geografica. Se poi i due terzi delle birre
citate arrivano da Belgio, Germania e Regno Unito non è colpa nostra, è lì
che si fanno le migliori birre del mondo; mentre le tre citazioni italiane
sul piano razionale sono troppe, ma in termini affettivi valgono a
segnalare una crescita continua che, grazie anche al fenomeno dei
micro-birrifici, è ormai prossima – speriamo – al decollo
definitivo.
Abbaye de Scourmont - Chimay
Blu Belgio, 9%, trappista Che cosa chiedere di più quando
la migliore fra le cinque trappiste che si fanno in Belgio è anche quella
che si trova più facilmente? Nient’altro che comprarla, magari nella
bottiglia da 75 cl, con tappo in sughero e cassetta di legno. Ne avrete
sensazioni di totale appagamento, dal fruttato alla crosta di pane dei
lieviti, dallo speziato a un che di pre-ossidativo che ricorda i grandi
Porto millesimati. Millesimata è anche questa Chimay Blu, che andrebbe
comprata e poi dimenticata per almeno cinque anni (il recente assaggio di
una 1997 è stato al limite della perfezione).
Cantillon - Lambic
Grand Cru Bruocsella Belgio, 5%, lambic Le lambic belghe,
a fermentazione spontanea, sono una sorta di test: se vi piacciono vuol
dire che la vostra è una mente aperta, capace di apprezzare anche delle
non-birre come queste. Già, perché qui dominano sentori agrumati, acidi
fin quasi all’aceto, vinosi, che, per di più, sono spesso chiamati a
sposarsi con lamponi e ciliegie aggiunti al mosto! (e se ne ottengono
framboise e kriek). Indichiamo la Cantillon perché non è «estrema» come
altre ed è fra le poche lambic artigianali che si riesca a trovare anche
in Italia.
Dupont – Saison Belgio, 6,5%, saison
belgian ale La Saison non è birra da grande distribuzione, la
trovate solo, e non sempre, nei negozi specializzati, ma ne vale la pena.
La consigliamo agli amanti del vino che vogliano capire ciò che una grande
birra è in grado di esprimere. Possiede note fresche e fruttate che poi
evolvono nell’erbaceo, nel sottobosco e nello speziato, migliora nel tempo
e può invecchiare per almeno cinque anni e più. Per i nostri gusti siamo
ai livelli massimi della produzione mondiale, assaggiatela e fateci
sapere.
Hoegaarden – Bière Blanche Belgio, 5%, bière
blanche L’interpretazione belga delle birre di frumento ha in
questa Hoegaarden uno degli esempi migliori. A partire dalla schiuma,
ricca e abbondante, per proseguire con i sentori floreali e fruttati e
finire in una bocca fresca e pulita. Merito dei semi di coriandolo e del
Curaçao che, si dice, sono aggiunti nella ricetta? Non lo sappiamo ma, in
ogni caso, il risultato è eccellente (quello ottenuto con la versione
Grand Cru della stessa brasserie sarebbe persino superiore, ma data la sua
non facile reperibilità abbiamo preferito privilegiare il tipo
base).
Moortgat – Duvel Belgio, 8,5%, belgian
ale In Belgio c’è un legame forte fra birra e mondo monastico e
religioso, testimoniato da un diluvio di etichette di santi, frati e
angioletti, e prima o poi qualcuno doveva andare in contro-tendenza. Ci ha
pensato la Moortgat che ha purtroppo dato inizio a una moda fatta di
imitatori banali. Ma banale non è la sua Duvel, 8,5% di alcol in grado di
equilibrare le note fresche e luppolate e di far emergere, nel finale,
ricordi di fiori appassiti e frutti essiccati. Se volete capire che cosa
sia una belgian ale questa è forse la prima scelta.
Pilsner –
Urquell Cechia, 4,4%, pilsen La Pilsner fu creata nel
1842 nell’omonima cittadina ceca da un mastro tedesco e ancora oggi, dopo
migliaia di imitazioni che hanno fatto delle pilsen le birre più diffuse
al mondo, resta la migliore. Il segreto? Le materie prime, che fanno della
Boemia un paradiso birraio: l’orzo della Moravia, l’elegante luppolo Saaz,
le sorgenti locali che offrono acque praticamente prive di calcare. Ci
sono opere d’arte che piacciono sia agli intenditori che ai profani e la
Pilsner Urquell è una di queste: semplice ma praticamente
perfetta.
Duyck – Jenlain Francia, 6,5%, bière de
garde Ci sono birre di cui non ci si può non innamorare, e la
Jenlain è una di queste. Esempio insuperato delle bières de garde del
nord-est francese, è un’alta fermentazione di puro malto d’orzo. Parte
alla grande con uno splendido abito ambrato e continua sugli stessi
livelli con sentori avvolgenti di caramello, miele di castagno e agrumi
evoluti, per finire in bocca dolce, equilibrata, lunghissima. In pratica
non ha difetti e, se non bastasse, si trova anche con facilità nei
supermercati a un prezzo irrisorio!
Kulmbacher – EKU
28 Germania, 11%, strong lager Come nel vino, anche nella
birra l’alcol elevato non è sinonimo di qualità ma, se sa equilibrarsi
alle altre componenti, può contribuire al formarsi di un prodotto quanto
meno interessante. Così è la EKU 28, una lager conservata per nove mesi,
quindi refrigerata e privata dell’acqua ghiacciata. Da qui i quasi 12°,
che un’intelligente luppolazione riesce a equilibrare, scongiurando ogni
rischio di calore eccessivo in bocca. Un erborinato come il cabrales può
essere un abbinamento da provare.
Paulaner – Salvator Germania, 7,5%, dopplebock
Parlando di Baviera, agli appassionati di birra vengono in mente
l’Oktoberfest e l’Editto di Purezza del 1516, con cui si stabiliva che
nella birra si può usare solo l’orzo e non altri cereali. Come tutte le
fabbriche, piccole e grandi, di Monaco, anche la Paulaner difende con
forza l’una e l’altra tradizione, riuscendo a coniugare qualità e
quantità. Al top mettiamo la Salvator, la prima e insuperata dopplebock
bavarese, dove dolce del caramello e balsamico della liquirizia convivono
al meglio, ma tutta la produzione è di buon livello.
Sailer –
Rauchenfels Steinbier Germania, 4,9%, rauchbier Nella
tradizione tutta tedesca delle birre affumicate, questa steinbier è un
caso a sé, ottenuta colando il malto su pietre arroventate da fuochi di
faggio o quercia. Ne risultano le caratteristiche note boisées, che forse
si gioverebbero di una bocca un po’ più ampia e strutturata a sostegno.
Provatela e, se la tipologia vi piace, cercate la meno diffusa ma forse
migliore Schenkerla Marzen Rauchbier della Heller di Bamberg, in
Franconia: questa a bassa fermentazione, l’altra ad
alta.
Schneider & Soh - Aventinus Germania, 8%,
weizenbock Schiacciata da colossi come Spaten, Paulaner, Lowenbrau,
HB, la Schneider a Monaco è quasi un micro-birrificio che tuttavia gli
appassionati ben conoscono. Il perché? Perché fa solo birre di frumento e
per di più fra le migliori dell’intera Germania. La nostra preferenza va
all’Aventinus, una weizen un po’ anomala – per il colore scuro anziché
quasi bianco e per la forte gradazione – ma che sa coniugare le note
fresche, fruttate e speziate delle birre di frumento con malto e caramello
degni di una dopplebock.
Eldridge Pope - Thomas Hardy’s
Ale Inghilterra, 12%, barley wine Questa segnalazione è
un po’ forzata, perché la produzione della Thomas Hardy si è interrotta un
paio d’anni fa e non sappiamo se e quando verrà ripresa. D’altronde, come
non parlare di questa barley wine, vino d’orzo, che fa 12° e che dovrebbe
invecchiare 25 anni prima di essere bevuta!? Il nostro, purtroppo unico,
assaggio è fra i ricordi più vividi che abbiamo: una vinosità in grado di
sposare frutto, legno e spezie. Oggi dovrebbero essere al top i millesimi
intorno al 1980, varrebbe la pena scovarli e farne una
verticale.
Fuller, Smith & Turner - Fuller’s Golden
Pride Inghilterra, 8,5%, strong ale Alla periferia di
Londra, la Fuller esiste da oltre 300 anni e se le ales inglesi si stanno
prendendo qualche rivincita sulle lager è per merito di aziende come
questa che non a caso la CAMRA (Campaign for Real Ale, un’associazione
nata per proteggere le ales) ha più volte premiato. La Fuller fa due birre
ottime, la London e la ESB, e una eccezionale, appunto la Golden. Un
trionfo di agrumi, canditi, spezie, frutta secca che richiamano il periodo
di Natale per cui questa birra è nata e che ci spingono a un provocatorio
abbinamento con un bel panettone!
Guinness - Special Export
Stout Irlanda, 8%, irish stout Che piaccia o no, irish
stout, nel mondo, si dice Guinness e viceversa. Tanto di cappello, quindi,
a un prodotto che, nato nel 1759, è ancora oggi un termine di riferimento.
A costo di scandalizzare i puristi, però, noi la suggeriamo qui in una
versione un po’ particolare, la Special Export selezionata dal belga John
Martin. I suoi 8%, quasi il doppio della standard, reggono alla perfezione
le note tostate, di caffè d’orzo, di fondente e di caramello che la
caratterizzano. L’etichetta si confonde con quelle delle altre Guinness,
ma vale la pena cercarla.
Le
Baladin - Super Baladin Italia, 8%, doppio malto stile
abbazia Teo Musso è stato fra i primissimi a creare in Italia un
micro-birrificio (nel cuore del Piemonte enologico!), e ancora oggi le sue
birre sono le migliori del genere, frutto di una passione che lo porta a
continue sperimentazioni (dalle birre a certificazione biologica all’idea
di usare le barrique…). La Super è la sua prima creatura, una birra non
pastorizzata che Teo definisce d’abbazia, di grande eleganza e suadenza.
Continua a essere la nostra preferita, sebbene la concorrenza, in casa
Musso, si sia fatta feroce, dalla Noel alla più recente Niña.
Peroni - Gran Riserva Italia, 6,6%, strong
lager Nata nel 1996 per festeggiare i 150 anni della Peroni, questa
Gran Riserva ha dimostrato come anche un grande gruppo possa fare birre di
eccellente qualità. È una splendida lager doppio malto che, dietro un
colore non particolarmente carico, nasconde grande intensità olfattiva e
una bocca dolce di miele e biscotti ma insieme ben strutturata.
Considerando che la Peroni fa anche un altro gioiellino semi-sconosciuto,
la Crystall, i complimenti all’azienda sono meritati.
Forst -
Sixtus Italia, 6,5%, lager doppelbock In quel di Merano
la Forst conserva una dimensione familiare nella proprietà e artigianale
nella produzione. Il risultato è un livello più che discreto nelle birre
base e un top winner assoluto come la Sixtus che ha il solo difetto di non
essere di facile reperibilità come le altre. Il colore è un mogano carico
che anticipa sensazioni olfattive di tostato e una bocca piena,
avvolgente, persistente: il tutto, e qui è il miracolo, in un contesto di
assoluta eleganza ed equilibrio. Insomma, per noi è la migliore birra
fatta in Italia.
Abdij Koningshoeven - La Trappe 8 Olanda, 8%,
abbazia Sebbene da circa tre anni questa birra non possa più
fregiarsi del titolo di birra trappista, in quanto prodotta su licenza da
una fabbrica e non più direttamente dai monaci di Schaapskooi, resta una
delle migliori espressioni delle birre olandesi, purtroppo non sempre
disponibile in Italia con regolarità. Fra i cinque diversi tipi prodotti,
consigliamo la Trappe 8, realizzata ancora con la ricetta nata nel 1884,
dalla schiuma ricchissima nonostante l’alcool, belle note di frutta gialla
matura e un finale di bacche aromatiche.
Traquair House -
Ale Scozia, 7,2%, scottish ale Il maniero dove si fa
questa birra è vecchio di mille anni e d’estate si può visitare. Sembra
che sia meraviglioso, ma non è questo che ci fa tessere gli elogi di
questa ale. È invece la sua qualità, frutto dell’equilibrio fra alcol e
freschezza, fra luppolo e malto, fra intensità e persistenza. La migliore
dimostrazione dei livelli eccelsi che una scottish ale può raggiungere.
Una birra da amare e da lasciare riposare anche per sette-otto anni. Se
non riuscite a trovarla, la Gordon Xmas, nella tipologia, è quella che
l’avvicina di più.
Hurlimann/Eggenberg -
Samichlaus Svizzera/Austria, 14%, strong lager Una birra
particolarissima, prodotta una sola volta l’anno dalla svizzera Hurlimann
(il 6 dicembre, a San Nicola). Scomparsa dal mercato per un paio d’anni, è
stata ripresa dall’austriaca Eggenberg con buona fedeltà all’originale. Da
bere con precauzione, come dice l’etichetta, visto che è la lager più
forte del mondo! E tuttavia, a differenza di altre birre iperalcoliche,
riesce a essere equilibrata, persino elegante, grazie anche all’anno di
stagionatura prima dell’imbottigliamento. Da provare, magari in
abbinamento con il cioccolato o un sigaro invece di un distillato.
Giugno 2005 |