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Birra e formaggio

Dionisio Castello

slowine
messaggero di gusto e cultura
numero 40, giugno 2003

Nel mondo dell’enogastronomia, quello tra formaggi e vino è un matrimonio tra i più riusciti, solido e duraturo. Ma perché non pensare ogni tanto a qualche «innocente evasione», in un triangolo che veda coinvolta anche la birra? Certo, ci sono formaggi per i quali questo tradimento sarebbe impossibile, ma ad altri la scossa potrebbe persino far bene (salvo poi tornare serenamente al ménage familiare con il vino…). Pensiamo, ad esempio, a certi erborinati estremi come il Cabrales spagnolo che mette in difficoltà qualunque vino e a cui una volta abbiamo abbinato persino un rum! Una birra molto alcolica (l’EKU 28 tedesca, o l’austriaca Urbock, o la Duvel belga fra le tante) potrebbe offrire la risposta giusta, in grado di addolcire la sapidità del formaggio senza interferire troppo con le sue note organolettiche. O ancora pensiamo a quei formaggi, non importa quanto stagionati, che abbiano subìto un processo di affumicatura, la cui persistenza aromatica tende non solo a coprire quella del vino ma, peggio, lo modifica fino a snaturarlo. La birra può offrire la giusta alternativa, permettendoci di combattere con le stesse armi, e cioè scegliendo delle birre a loro volta affumicate, che assumono il loro tipico sentore in quanto il malto è fatto essiccare su fuochi ottenuti con legni di faggio (una tecnica che sopravvive in almeno due birre tedesche, la Rauchenfels Steinbier della Sailer e la Marzen Rauchbier della Heller). O infine pensiamo – e qui siamo pronti ad aprire un dibattito-polemica… – a un «formaggio non formaggio» come la mozzarella di bufala, per la quale continua a imperversare l’abbinamento con il vino e in particolare, solo in nome di vaghe affinità geografiche, con l’Asprinio di Aversa. Per quale ragione un vino duro e acido come l’Asprinio dovrebbe accompagnarsi bene con un latticino grasso, rotondo, opulento, segnato dai lieviti, resta per noi un mistero. Mettiamole invece vicino una bella birra di frumento, se vogliamo giocare sulle affinità di lieviti e crosta di pane, oppure, all’estremo opposto, una grande trappista, piena e pastosa, in grado di assecondare la presenza gusto-olfattiva della mozzarella.

La selezione che segue (ordinata per nazione) non è pensata soltanto in relazione a possibili abbinamenti con il formaggio, che pure in molti casi funzionerebbero al meglio, ma come un vademecum per chi è convinto che la grande birra non sappia dare le stesse emozioni di un grande vino. Sono le nostre birre del cuore, ma scelte anche con un occhio alla ragione: leggi rappresentatività stilistica e geografica. Se poi i due terzi delle birre citate arrivano da Belgio, Germania e Regno Unito non è colpa nostra, è lì che si fanno le migliori birre del mondo; mentre le tre citazioni italiane sul piano razionale sono troppe, ma in termini affettivi valgono a segnalare una crescita continua che, grazie anche al fenomeno dei micro-birrifici, è ormai prossima – speriamo – al decollo definitivo.


Abbaye de Scourmont - Chimay Blu
Belgio, 9%, trappista
Che cosa chiedere di più quando la migliore fra le cinque trappiste che si fanno in Belgio è anche quella che si trova più facilmente? Nient’altro che comprarla, magari nella bottiglia da 75 cl, con tappo in sughero e cassetta di legno. Ne avrete sensazioni di totale appagamento, dal fruttato alla crosta di pane dei lieviti, dallo speziato a un che di pre-ossidativo che ricorda i grandi Porto millesimati. Millesimata è anche questa Chimay Blu, che andrebbe comprata e poi dimenticata per almeno cinque anni (il recente assaggio di una 1997 è stato al limite della perfezione).

Cantillon - Lambic Grand Cru Bruocsella
Belgio, 5%, lambic
Le lambic belghe, a fermentazione spontanea, sono una sorta di test: se vi piacciono vuol dire che la vostra è una mente aperta, capace di apprezzare anche delle non-birre come queste. Già, perché qui dominano sentori agrumati, acidi fin quasi all’aceto, vinosi, che, per di più, sono spesso chiamati a sposarsi con lamponi e ciliegie aggiunti al mosto! (e se ne ottengono framboise e kriek). Indichiamo la Cantillon perché non è «estrema» come altre ed è fra le poche lambic artigianali che si riesca a trovare anche in Italia.

Dupont – Saison
Belgio, 6,5%, saison belgian ale
La Saison non è birra da grande distribuzione, la trovate solo, e non sempre, nei negozi specializzati, ma ne vale la pena. La consigliamo agli amanti del vino che vogliano capire ciò che una grande birra è in grado di esprimere. Possiede note fresche e fruttate che poi evolvono nell’erbaceo, nel sottobosco e nello speziato, migliora nel tempo e può invecchiare per almeno cinque anni e più. Per i nostri gusti siamo ai livelli massimi della produzione mondiale, assaggiatela e fateci sapere.

Hoegaarden – Bière Blanche
Belgio, 5%, bière blanche
L’interpretazione belga delle birre di frumento ha in questa Hoegaarden uno degli esempi migliori. A partire dalla schiuma, ricca e abbondante, per proseguire con i sentori floreali e fruttati e finire in una bocca fresca e pulita. Merito dei semi di coriandolo e del Curaçao che, si dice, sono aggiunti nella ricetta? Non lo sappiamo ma, in ogni caso, il risultato è eccellente (quello ottenuto con la versione Grand Cru della stessa brasserie sarebbe persino superiore, ma data la sua non facile reperibilità abbiamo preferito privilegiare il tipo base).

Moortgat – Duvel
Belgio, 8,5%, belgian ale
In Belgio c’è un legame forte fra birra e mondo monastico e religioso, testimoniato da un diluvio di etichette di santi, frati e angioletti, e prima o poi qualcuno doveva andare in contro-tendenza. Ci ha pensato la Moortgat che ha purtroppo dato inizio a una moda fatta di imitatori banali. Ma banale non è la sua Duvel, 8,5% di alcol in grado di equilibrare le note fresche e luppolate e di far emergere, nel finale, ricordi di fiori appassiti e frutti essiccati. Se volete capire che cosa sia una belgian ale questa è forse la prima scelta.

Pilsner – Urquell
Cechia, 4,4%, pilsen
La Pilsner fu creata nel 1842 nell’omonima cittadina ceca da un mastro tedesco e ancora oggi, dopo migliaia di imitazioni che hanno fatto delle pilsen le birre più diffuse al mondo, resta la migliore. Il segreto? Le materie prime, che fanno della Boemia un paradiso birraio: l’orzo della Moravia, l’elegante luppolo Saaz, le sorgenti locali che offrono acque praticamente prive di calcare. Ci sono opere d’arte che piacciono sia agli intenditori che ai profani e la Pilsner Urquell è una di queste: semplice ma praticamente perfetta.

Duyck – Jenlain
Francia, 6,5%, bière de garde
Ci sono birre di cui non ci si può non innamorare, e la Jenlain è una di queste. Esempio insuperato delle bières de garde del nord-est francese, è un’alta fermentazione di puro malto d’orzo. Parte alla grande con uno splendido abito ambrato e continua sugli stessi livelli con sentori avvolgenti di caramello, miele di castagno e agrumi evoluti, per finire in bocca dolce, equilibrata, lunghissima. In pratica non ha difetti e, se non bastasse, si trova anche con facilità nei supermercati a un prezzo irrisorio!

Kulmbacher – EKU 28
Germania, 11%, strong lager
Come nel vino, anche nella birra l’alcol elevato non è sinonimo di qualità ma, se sa equilibrarsi alle altre componenti, può contribuire al formarsi di un prodotto quanto meno interessante. Così è la EKU 28, una lager conservata per nove mesi, quindi refrigerata e privata dell’acqua ghiacciata. Da qui i quasi 12°, che un’intelligente luppolazione riesce a equilibrare, scongiurando ogni rischio di calore eccessivo in bocca. Un erborinato come il cabrales può essere un abbinamento da provare.

Paulaner – Salvator
Germania, 7,5%, dopplebock
Parlando di Baviera, agli appassionati di birra vengono in mente l’Oktoberfest e l’Editto di Purezza del 1516, con cui si stabiliva che nella birra si può usare solo l’orzo e non altri cereali. Come tutte le fabbriche, piccole e grandi, di Monaco, anche la Paulaner difende con forza l’una e l’altra tradizione, riuscendo a coniugare qualità e quantità. Al top mettiamo la Salvator, la prima e insuperata dopplebock bavarese, dove dolce del caramello e balsamico della liquirizia convivono al meglio, ma tutta la produzione è di buon livello.

Sailer – Rauchenfels Steinbier
Germania, 4,9%, rauchbier
Nella tradizione tutta tedesca delle birre affumicate, questa steinbier è un caso a sé, ottenuta colando il malto su pietre arroventate da fuochi di faggio o quercia. Ne risultano le caratteristiche note boisées, che forse si gioverebbero di una bocca un po’ più ampia e strutturata a sostegno. Provatela e, se la tipologia vi piace, cercate la meno diffusa ma forse migliore Schenkerla Marzen Rauchbier della Heller di Bamberg, in Franconia: questa a bassa fermentazione, l’altra ad alta.

Schneider & Soh - Aventinus
Germania, 8%, weizenbock
Schiacciata da colossi come Spaten, Paulaner, Lowenbrau, HB, la Schneider a Monaco è quasi un micro-birrificio che tuttavia gli appassionati ben conoscono. Il perché? Perché fa solo birre di frumento e per di più fra le migliori dell’intera Germania. La nostra preferenza va all’Aventinus, una weizen un po’ anomala – per il colore scuro anziché quasi bianco e per la forte gradazione – ma che sa coniugare le note fresche, fruttate e speziate delle birre di frumento con malto e caramello degni di una dopplebock.

Eldridge Pope - Thomas Hardy’s Ale
Inghilterra, 12%, barley wine
Questa segnalazione è un po’ forzata, perché la produzione della Thomas Hardy si è interrotta un paio d’anni fa e non sappiamo se e quando verrà ripresa. D’altronde, come non parlare di questa barley wine, vino d’orzo, che fa 12° e che dovrebbe invecchiare 25 anni prima di essere bevuta!? Il nostro, purtroppo unico, assaggio è fra i ricordi più vividi che abbiamo: una vinosità in grado di sposare frutto, legno e spezie. Oggi dovrebbero essere al top i millesimi intorno al 1980, varrebbe la pena scovarli e farne una verticale.

Fuller, Smith & Turner - Fuller’s Golden Pride
Inghilterra, 8,5%, strong ale
Alla periferia di Londra, la Fuller esiste da oltre 300 anni e se le ales inglesi si stanno prendendo qualche rivincita sulle lager è per merito di aziende come questa che non a caso la CAMRA (Campaign for Real Ale, un’associazione nata per proteggere le ales) ha più volte premiato. La Fuller fa due birre ottime, la London e la ESB, e una eccezionale, appunto la Golden. Un trionfo di agrumi, canditi, spezie, frutta secca che richiamano il periodo di Natale per cui questa birra è nata e che ci spingono a un provocatorio abbinamento con un bel panettone!

Guinness - Special Export Stout
Irlanda, 8%, irish stout
Che piaccia o no, irish stout, nel mondo, si dice Guinness e viceversa. Tanto di cappello, quindi, a un prodotto che, nato nel 1759, è ancora oggi un termine di riferimento. A costo di scandalizzare i puristi, però, noi la suggeriamo qui in una versione un po’ particolare, la Special Export selezionata dal belga John Martin. I suoi 8%, quasi il doppio della standard, reggono alla perfezione le note tostate, di caffè d’orzo, di fondente e di caramello che la caratterizzano. L’etichetta si confonde con quelle delle altre Guinness, ma vale la pena cercarla.

Le Baladin - Super Baladin
Italia, 8%, doppio malto stile abbazia
Teo Musso è stato fra i primissimi a creare in Italia un micro-birrificio (nel cuore del Piemonte enologico!), e ancora oggi le sue birre sono le migliori del genere, frutto di una passione che lo porta a continue sperimentazioni (dalle birre a certificazione biologica all’idea di usare le barrique…). La Super è la sua prima creatura, una birra non pastorizzata che Teo definisce d’abbazia, di grande eleganza e suadenza. Continua a essere la nostra preferita, sebbene la concorrenza, in casa Musso, si sia fatta feroce, dalla Noel alla più recente Niña.

Peroni - Gran Riserva
Italia, 6,6%, strong lager
Nata nel 1996 per festeggiare i 150 anni della Peroni, questa Gran Riserva ha dimostrato come anche un grande gruppo possa fare birre di eccellente qualità. È una splendida lager doppio malto che, dietro un colore non particolarmente carico, nasconde grande intensità olfattiva e una bocca dolce di miele e biscotti ma insieme ben strutturata. Considerando che la Peroni fa anche un altro gioiellino semi-sconosciuto, la Crystall, i complimenti all’azienda sono meritati.

Forst - Sixtus
Italia, 6,5%, lager doppelbock
In quel di Merano la Forst conserva una dimensione familiare nella proprietà e artigianale nella produzione. Il risultato è un livello più che discreto nelle birre base e un top winner assoluto come la Sixtus che ha il solo difetto di non essere di facile reperibilità come le altre. Il colore è un mogano carico che anticipa sensazioni olfattive di tostato e una bocca piena, avvolgente, persistente: il tutto, e qui è il miracolo, in un contesto di assoluta eleganza ed equilibrio. Insomma, per noi è la migliore birra fatta in Italia.

Abdij Koningshoeven - La Trappe 8
Olanda, 8%, abbazia
Sebbene da circa tre anni questa birra non possa più fregiarsi del titolo di birra trappista, in quanto prodotta su licenza da una fabbrica e non più direttamente dai monaci di Schaapskooi, resta una delle migliori espressioni delle birre olandesi, purtroppo non sempre disponibile in Italia con regolarità. Fra i cinque diversi tipi prodotti, consigliamo la Trappe 8, realizzata ancora con la ricetta nata nel 1884, dalla schiuma ricchissima nonostante l’alcool, belle note di frutta gialla matura e un finale di bacche aromatiche.

Traquair House - Ale
Scozia, 7,2%, scottish ale
Il maniero dove si fa questa birra è vecchio di mille anni e d’estate si può visitare. Sembra che sia meraviglioso, ma non è questo che ci fa tessere gli elogi di questa ale. È invece la sua qualità, frutto dell’equilibrio fra alcol e freschezza, fra luppolo e malto, fra intensità e persistenza. La migliore dimostrazione dei livelli eccelsi che una scottish ale può raggiungere. Una birra da amare e da lasciare riposare anche per sette-otto anni. Se non riuscite a trovarla, la Gordon Xmas, nella tipologia, è quella che l’avvicina di più.

Hurlimann/Eggenberg - Samichlaus
Svizzera/Austria, 14%, strong lager
Una birra particolarissima, prodotta una sola volta l’anno dalla svizzera Hurlimann (il 6 dicembre, a San Nicola). Scomparsa dal mercato per un paio d’anni, è stata ripresa dall’austriaca Eggenberg con buona fedeltà all’originale. Da bere con precauzione, come dice l’etichetta, visto che è la lager più forte del mondo! E tuttavia, a differenza di altre birre iperalcoliche, riesce a essere equilibrata, persino elegante, grazie anche all’anno di stagionatura prima dell’imbottigliamento. Da provare, magari in abbinamento con il cioccolato o un sigaro invece di un distillato.

 

Giugno 2005

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