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Famiglia Lambic


Michael Jackson

slowine
messaggero di gusto e cultura
numero 37, marzo 2003

Ulteriori info sul sito di Riccardo Corbo --> http://isour.jimdo.com

 

Chi ama le note erbacee e minerali di un vero Chablis della Bourgogne, i sentori tostati dello Champagne o la rinfrescante vitalità di uno Jerez Fino ricco di lieviti apprezzerà senz’altro la famiglia delle Lambic, la rara specialità della valle della Zenne in Belgio. Queste birre non sono per tutti, ma chiunque ami aromi e sapori tipici le troverà affascinanti. Nel migliore dei casi sono il punto di incontro tra birra e vino, nel peggiore sono un pezzo di storia.

Il paragone con lo Jerez è particolarmente evidente nella Lambic non assemblata, quasi priva di gas e difficile da trovare. Gli aromi che ricordano l’uva chardonnay sono più palesi nella versione effervescente e assemblata conosciuta come Gueuze. Sia lo Jerez Fino sia la Lambic sono il prodotto della fermentazione con colture particolari di lieviti spontanei. I produttori di Lambic non usano lieviti selezionati, ma operano con i lieviti spontanei trasportati dall’aria della valle e con le colture che hanno preso piede nel loro birrificio.
La Lambic, come lo Jerez Fino, è affinata per qualche anno ma è degna di nota per la freschezza aromatica. Gli andalusi bevono una mezzina di Fino con tapas di pesce e i belgi più avveduti accostano alla Lambic i forti formaggi locali a pasta molle e ravanelli. Mi è capitato di bere Fino con il celebre «naso» Don José Ignacio Domecq nella bodega di famiglia a Jerez e non appena la conversazione ha toccato il mio interesse per la birra, il señor Domecq mi ha chiesto se conoscessi la Lambic. Si osservano analogie tra Jerez Fino e Lambic non solo nel processo di fermentazione, e forse nel colore tra il Palo Cortado e la birra (quando è affinata compiutamente), ma anche nell’aroma e nel gusto. Sulla rivista belga Revue, nel 1986, paragonavo la veste rosea di alcune Lambic con l’Arbois dello Jura. Ho appreso in seguito che l’uva dell’Arbois, il savagnin, contiene una quantità notevole di lieviti ed è usata anche per il Vin Jaune della regione, fermentato con la «flor» come lo Jerez.

Il nome
Un fitto mistero circonda il nome della più misteriosa delle birre. Secondo una spiegazione, il nome deriva da Lembeek, una cittadina nella zona di produzione. «Beek» è la versione fiamminga del tedesco «bach» e dell’inglese settentrionale «beck», ossia torrente, ruscello, fiumiciattolo. «Lem» potrebbe essere un riferimento in fiammingo antico al tiglio, «lime» in inglese, spiegazione confortata da un reliquiario del santo patrono della città, Veronus, in cui il santo è raffigurato con un ramoscello di tiglio in mano. La teoria è inficiata dal fatto che di solito il tiglio è detto in fiammingo linde (vedi «linden»). Maggior credito trova l’ipotesi secondo cui la città prende il nome dal terreno calcareo o argilloso (leem). Di recente questa ipotesi è stata contestata: si suggerisce in alternativa che la prima sillaba sarebbe una corruzione di leen, termine che indica prestiti e diritti di proprietà: leen-beek, diritto di proprietà sul ruscello.
Lembeek era un insediamento neolitico su un tratto di terra quasi circondato da una brusca piega del fiume Zenne. I Celti protessero con mura la cittadina, che in seguito diventò una città-stato indipendente tra i ducati del Brabante e dell’Hainaut. In quel periodo Lembeek concesse agli agricoltori l’insolito diritto di accostare la produzione della birra e la distillazione del liquore di ginepro, sicché il contadino utilizzava gli stessi locali per le due attività. I dominatori spagnoli nel Cinquecento e nel Seicento chiamavano semplicemente quei locali distilleria, o alambic, poi corrotto in Lambic? Il primo documento scritto che conosciamo – del 1791, in francese – conferma questa ipotesi.
A Lembeek c’era una corporazione di birrai già 500 anni orsono. Oggi la città conta 4000 abitanti e, lungo il fiume, un birrificio diretto dal «revivalista» Frank Boon. In quanto città-stato, aveva un proprio esercito, di cui ha conservato quattro «reggimenti»: l’onore di farne parte è trasmesso di padre in figlio.

Il distretto
Bruegel viveva da questa parte di Bruxelles, nella città vecchia fiamminga, e girava per i villaggi del Payottenland. La chiesa della Parabola dei ciechi è chiaramente Saint-Anna-Pede, tra Itterbeek e Schepdaal. Quattrocento anni dopo, è impossibile non riconoscere i fiamminghi della Danza dei contadini o del Banchetto di nozze che si godono una birra in uno dei tanti locali della valle. Nel Banchetto di nozze si vede una birra di colore paglia-ruggine decantata da quella brocca di terracotta che è tuttora usata sovente per le Lambic. Le stesse brocche compaiono nella Danza dei contadini. Immagini analoghe si ritrovano nei quadri dell’artista che portava il nome calzante di Brouwer, del secolo successivo, e nessuna tipologia di birra è presente più diffusamente delle Lambic nell’arte e nella letteratura popolari e nel folklore fiammingo (né, senza tema di smentite, nella cultura fiamminga vi è un tema più centrale della produzione e del consumo di birre di ogni sorta).
La Strada di Bruegel, ricca di segnalazioni, è popolare tra gli esploratori della regione delle Lambic, ma diversi birrifici accanto a cui passava hanno chiuso i battenti. Oggi si parla di ritracciare la strada per riavvicinarla ai birrifici. Nessuno di questi si trova a più di 10-12 miglia da Bruxelles, eppure il Payottenland passa dall’ambiente urbano e suburbano ai piatti campi coltivati e alle macchie boschive di colline inaspettate. Qua e là una fabbrica di Lambic, a volte in disuso, esempio in miniatura di archeologia industriale, lascia la sua impronta caratteristica sul panorama, e magari il nome del birrificio e la parola Lambic sopravvivono in parte in un’insegna dipinta. Nel distretto tradizionale vi sono dieci fabbriche di Lambic e, al di fuori di esso, tre assemblatori e due birrifici (entrambi nelle Fiandre occidentali) che producono questa tipologia di birra.

Come si produce
La Lambic è una birra di frumento, e già questa caratteristica basta a inserirla nel novero degli stili speciali. È particolare rispetto alle birre di frumento di altre regioni del mondo in quanto il cereale usato non è orzo tallito. Il perché non è certo: forse gli agricoltori-birrai scoprirono semplicemente di poter fare la birra senza questo processo, il che è possibile perché, come in tutte le birre di frumento, si usa anche una percentuale di orzo germinato, che fornisce gli enzimi necessari. A volte si usa il locale frumento del Brabante a chicchi piccoli. Per molti anni si preferirono i frumenti e l’orzo invernali, più grossi, ma di recente i birrai sono passati alle varietà estive per ottenere sapori meno astringenti. Nel corso degli anni il rapporto tra frumento e orzo è variato, ma alla fine è stato formalizzato per legge. Negli anni Sessanta e Settanta la Lambic è stata definita con una serie di decreti in base a cui dev’essere fatta con un minimo del 30% di frumento non tallito e avere una gravità (il coefficiente, espresso in Plato o in Balling, che misura la materia prima: malto, frumento o altri zuccheri fermentiscibili, ndr) non inferiore a 11 Plato (1044). Alcuni produttori usano fino al 40% di frumento e per il resto orzo tallito, e nel corso degli anni alcuni hanno aggiunto una percentuale di mais, riso e perfino segale. Le Lambic presentano solitamente una gravità originale di 1047-1054 (11,75-13,5 Plato; il livello classico è 12,7) e, nella versione non assemblata, arrivano in genere a un contenuto alcolico tra il 5 e il 6,5% in volume. Come in molte tipologie di birra, in passato si avevano gravità molto superiori.

Si aggiunge fino a sei volte più luppolo che nella birrificazione tradizionale; paradossalmente, si tratta di luppoli invecchiati fino a tre anni. Obiettivo di questo procedimento è ridurne l’aroma, il gusto e l’amaro, proprio le caratteristiche per le quali sono apprezzati dagli altri birrai. In questo caso i luppoli sono usati per la loro funzione secondaria, ossia proteggere la birra da infezioni indesiderate e dall’eccessiva ossidazione.
Laddove i birrai tradizionali di solito bollono per un’ora e mezzo, per i produttori di Lambic la bollitura può durare più di tre ore e in qualche caso fino a sei. È poi la volta del passaggio più critico: il mosto bollito è raffreddato in una bassa vasca aperta nella soffitta del birrificio. Questa vasca, di rame o acciaio, copre gran parte del pavimento della soffitta; può essere lunga sette o otto metri e larga cinque o sei, ma è profonda solo 30-50 centimetri, di modo che una grande quantità del mosto sia a contatto con l’atmosfera. La vasca non è riempita completamente e il locale dev’essere dotato di finestre e fori di ventilazione. Un tempo tutti i birrai raffreddavano il mosto in questo modo e in cima ai tetti impeciati si vedono spesso i fori di ventilazione. Il tempo insegnò che questo metodo era rischioso: se il mosto restava nella vasca fino a essere effettivamente freddo, si rischiava l’intrusione di lieviti spontanei. Perciò si chiusero ermeticamente i locali di raffreddamento, si accorciò il periodo di permanenza del mosto nella vasca oppure si accelerò o sostituì questo metodo con scambiatori di calore. Oggi quasi tutti usano scambiatori di calore: sistemi chiusi in cui il mosto scorre attraverso tubi che passano in acqua fredda o in un liquido refrigerante.

I produttori di Lambic hanno preso la direzione opposta, favorendo la natura anziché combatterla, e quindi utilizzano i lieviti spontanei lasciando che contribuiscano a determinare il carattere della birra. In un birrificio che produce Lambic, finestre e fori sono tenuti aperti, e se manca qualche tegola tanto meglio: così entreranno i lieviti spontanei. Se il birraio teme che non vi sia attività sufficiente, può regolare i fori. Il malto resta lì per una notte, i lieviti entrano e si mettono all’opera. Alcuni birrai esitano perfino a rifare il tetto o una parte della struttura per timore di disturbare i lieviti spontanei o altra microflora presente, che conferiscono il carattere «della casa» alle loro birre. Ogni birra, di qualunque tipo, ha un carattere «della casa», ma nessuna quanto le Lambic.
Dopo aver raffreddato il mosto comincia la fermentazione. Il modo più semplice per effettuarla è versare il liquido in botti e lasciar fare alla natura. Un tempo tutti i birrai procedevano più o meno in questo modo; quando impararono a usare lieviti propri, elaborarono sistemi più controllati. Oggi la maggior parte dei birrai convenzionali usa vasche di acciaio inox, con sistemi di raffreddamento che controllano l’andamento della fermentazione. In pochissimi birrifici si fermenta ancora in legno e solo i produttori di Lambic usano botti lasciate a se stesse. Anche in questo caso la situazione si è evoluta in modo naturale. Non vi è altra città in cui la cultura romanza e quella germanica si siano incontrate come a Bruxelles, che importa e consuma una grande quantità di vino. All’epoca in cui il vino viaggiava in botti, queste venivano accaparrate dai birrai e usate come recipienti per la fermentazione. Oggi non è molto il vino che viaggia in botti, ma i produttori di Lambic possono comprare quelle che sono state usate per la vinificazione. I recipienti giacciono in lunghe cantine o gallerie, talvolta ricoperte di muffe e ragnatele. Alcuni birrai esitano a pulire troppo, temendo di disturbare un ospite essenziale, altri sostengono che i lieviti spontanei importanti entrano nella vasca di raffreddamento o risiedono nelle botti e quindi le cantine o gallerie vanno tenute pulite. Se si dividono nettamente per quanto concerne la pulizia desiderabile, tutti considerano amiche preziose quelle che per gli altri birrai sono creature da incubo. Un produttore di Lambic mi ha detto che le muffe bianche sulle botti hanno un’influenza positiva, mentre quelle nere sui muri sono malsane.

I produttori tradizionali di Lambic non birrificano d’estate perché l’inoculazione spontanea del mosto in questa stagione sarebbe troppo imprevedibile e la birra risulterebbe acida. Smettono tra marzo e maggio per riprendere a settembre-ottobre. Considerano l’estate, come vuole la tradizione, il periodo dell’immagazzinamento, in cui proseguono la fermentazione e la maturazione. Unici tra i birrai a rispettare ancora questo regime stagionale, misurano le fermentazioni in «estati». Alcune Lambic restano in botte per una sola estate e in tal caso sono considerate ancora «giovani»; una Lambic di due o tre estati è giudicata matura. Alcuni birrifici hanno in magazzino Lambic molto più vecchie.
Una Lambic giovane può avere veste paglierina, a volte con una sfumatura rossastra (detta Vos, ossia «volpina»). Spesso ha forte personalità, può essere lattica (come un formaggio forte a pasta molle), acidula, con note di sidro e di mela. È vigorosamente rinfrescante ma anche asciugante e stimola l’appetito. La Lambic matura ha una veste più fine, in qualche caso con venature rosa-porpora che ricordano la cipolla. È più pastosa, rotonda e complessa, con note fruttate (a volte di rabarbaro) che ricordano lo Chablis e un caratteristico sapore di Jerez. Non esiste bevanda più enigmatica.
Se la grande maggioranza delle birre (e dei vini) svolge una fermentazione primaria e una secondaria, la Lambic attraversa almeno cinque fasi che costituiscono una reazione a catena, compreso lo sviluppo di caratteristiche lattiche e acetiche, il che contribuisce a spiegare perché abbia una simile complessità al naso, in bocca e nel retrogusto. Tradizionalmente, molti birrai di altre zone consideravano la scelta dei cereali, dei malti e dei luppoli il fattore dominante per il carattere della loro birra, ma oggi si valuta sempre di più l’influenza del lievito e dell’andamento della fermentazione sugli aromi e i sapori di fondo. Sotto questo aspetto, nessuna birra ha la complessità della Lambic.

Laddove i birrai in generale prendono in considerazione come lieviti ammissibili solo il carlsbergensis o il cerevisiae, nei birrifici di Lambic sono presenti almeno cinque grandi gruppi di lieviti spontanei e altra microflora. In un’unica birra questi gruppi possono manifestarsi sotto 15 o 20 forme e fino a oggi nelle Lambic sono stati identificati 86 tipi di lieviti spontanei o altra microflora. Va sottolineato che tra questi figurano quattro lieviti ossidativi che formano una pellicola sopra la birra in fermentazione, analoga alla flor dello Jerez. Ci sono anche lieviti della famiglia del Brettanomyces, un tempo associata a tipologie britanniche come Stock Ale, Barley Wine e Porter Strong, affinate tradizionalmente per lunghi periodi in legno. Il Brettanomyces conferisce aromi a detta di alcuni «di cuoio», che ricordano «la coperta del cavallo». Agiscono molto lentamente, fermentando più a fondo di altri, e producono potenzialmente birre più magre. Nella valle della Zenne è stata identificata una dozzina di tipi di Brettanomyces, due dei quali identificati a livello tassonomico con il distretto, il bruxellensis e il lambicus.

La denominazione
Nel 1991 l’organizzazione belga di consumatori Objectieve Bierproevers (in itialiano: I degustatori obiettivi di birra) ha fatto ulteriori sforzi per definire la Lambic. Questo gruppo, insieme a organizzazioni volontarie di altri paesi, fa parte della European Beer Consumers’ Union, che nel 1991 ha cominciato a conferire la propria «appelation controlée» alle birre tradizionali della famiglia delle Lambic. I prodotti cui veniva concessa questa denominazione potevano usarla in etichetta. Per averne diritto, la Lambic deve essere fatta nel modo classico, fermentata solo con lieviti spontanei tra i quali il Brettanomyces bruxelliensis e il lambicus. La Gueuze deve essere un assemblaggio esclusivamente di Lambic, con rifermentazione in bottiglia, senza alcuna filtrazione, carbonatazione artificiale, dolcificazione o pastorizzazione.
Questa iniziativa ha precorso un decreto del 1997 che definisce le birre «vecchie» della famiglia delle Lambic, a seguito di una richiesta della Confederazione belga dei birrai all’Unione Europea. Il termine «vecchio» si riferisce al metodo, definito come detto sopra, ma vi è anche una clausola relativa all’età delle birre. Ogni componente della famiglia identificata – in fiammingo come Oude e in francese come Vieille o Vieux – deve obbligatoriamente contenere una percentuale (che non è specificata) di Lambic di tre anni e avere un’età media non inferiore a un anno.

Lo Champagne del Belgio
Il soprannome «Champagne delle birre» è spesso applicato in generale agli stili aciduli e rinfrescanti di birra che si possono fare con il frumento. A volte, i birrai il cui prodotto svolge un’ulteriore fermentazione in bottiglia prendono a prestito l’espressione «méthode champenoise». Come i produttori di vino della Champagne, i birrai belgi hanno fatto di questo stile di fermentazione la loro specialità. Il paragone con lo Champagne può valere, per una o per entrambe le ragioni, per molte birre belghe, ma soprattutto per l’effervescente Gueuze della famiglia delle Lambic. Si tratta di una birra di frumento prodotta assemblando due o più Lambic per provocare una fermentazione secondaria e una spuma simile a quella dello Champagne. A volte le parole Lambic e Gueuze sono divise da un trattino, in specie se la birra è servita dalla botte. Potrebbe trattarsi di una tipologia precedente, fatta con l’intenzione di trasformare la Lambic, pressoché ferma, in una bevanda effervescente. I belgi scoprirono in effetti quanto potesse essere elegante una mescolanza di Lambic quando presero a imbottigliarla; oggi è questa la versione classica della Gueuze. Dato che la fermentazione produce una pressione notevole, è messa nelle stesse bottiglie usate per lo Champagne.

Il termine Gueuze potrebbe avere la stessa radice di «gas» e «geyser», per indicare ciò che avviene quando si spilla una botte o si stappa una bottiglia frizzante: si libera una notevole quantità di anidride carbonica. Altri suggeriscono che il nome potrebbe nascere dalle pressioni politiche e dalle rivolte del Payottenland contro la dominazione spagnola o a favore di quella olandese. Un’altra versione attribuisce il nome a un sindaco di Lembeek politicamente liberale («Geus») che sarebbe stato un pioniere dell’adozione della méthode champenoise per la Lambic. I documenti ci dicono che questo accadde nel 1870, in un momento in cui il Belgio era indipendente da vari decenni. Un riferimento molto precedente, del Seicento, suggerisce che i produttori di Lambic avevano già trovato il modo di rendere effervescenti in modo naturale le loro birre, e vi è anche un’indicazione secondo cui la birra era la bevanda dei contadini, probabilmente «Gueux» quanto a simpatie politiche, mentre la classe dirigente beveva vini francesi o spagnoli.
Le caratteristiche delle Lambic confluiscono nella Gueuze, ma la nuova fermentazione crea una maggiore complessità e finezza, oltre all’effervescenza. La Gueuze matura per un po’ in bottiglia prima di essere consumata. Una vera Gueuze è secca, acidula e fruttata e spesso sprigiona un aroma tostato che ricorda certi Champagne. A seguito della fermentazione in bottiglia, sviluppa un contenuto alcolico leggermente superiore alle Lambic originali, di solito intorno al 5,5 per cento.

La scelta delle Lambic è cruciale per il gusto del prodotto finale, al pari dell’andamento della fermentazione in bottiglia. La Lambic giovane dell’assemblaggio avrà più zucchero residuo, quella vecchia avrà sviluppato lieviti interessanti durante il processo di fermentazione. Dopo l’assemblaggio le Lambic, che hanno attraversato almeno cinque fasi sovrapposte di fermentazione (utilizzando come minimo dieci tipi di lieviti e microflora), passano per altre tre fasi, in cui quattro o cinque lieviti e microflora originali svolgono di nuovo un ruolo importante. Non sorprende perciò che queste birre siano tanto complesse.
Il produttore di Lambic, diversamente da tutti gli altri birrai, deve tenere conto della destinazione di ciascuna botte: sarà venduta come Lambic non assemblata e, in tal caso, giovane o vecchia? Oppure sarà una delle componenti di una Gueuze e, di nuovo, di che età? In generale, le botti che sembrano evolvere meglio verranno conservate più a lungo. Oltre alle considerazioni relative a temperatura e legno, c’è il fattore imponderabile: il lievito è un organismo vivo, una forza vitale, il cui comportamento non può mai essere dato per certo neppure nei birrifici più convenzionali. Il rapporto tra Lambic giovane e vecchia è variabile. È comune il 70-30, anche se in tal caso si può avere una Gueuze eccessivamente lattica. Quanta più Lambic vecchia si usa, tanto più intenso è l’aroma e tanto maggiori sono la profondità e la lunghezza. Una Gueuze classica può contenere anche solo il 15 per cento di Lambic giovane. Le bottiglie sono sistemate proprio come nelle cantine dei vini. Una fabbrica di Lambic non dispone solo di numerosi locali pieni di botti, ma anche di cantine stipate di bottiglie.

Si può capire se si tratta di una buona «annata» dal modo in cui i lieviti si depositano sul fianco della bottiglia durante l’affinamento. Se hanno lavorato bene, si raccoglieranno a lisca di pesce. Una buona fermentazione secondaria creerà bollicine piccole e persistenti, come il perlage dello Champagne, e un carattere vivace ma non aggressivo.
In un buon caffè o ristorante le bottiglie sono tenute accuratamente coricate e portate senza scosse al tavolo. Spesso i locali conservano in cantina le Gueuze vecchie per due o tre anni, e in casi estremi una parte della birra nella bottiglia avrà sette-otto anni. Alcuni privati conservano le bottiglie acquistate per 18 mesi prima di aprirle. Ho avuto modo di assaggiare una Gueuze di 45 anni: era sorprendentemente morbida ed equilibrata, ma con un intenso carattere da Jerez Fino e implacabilmente secca nel finale. Era del tutto ferma.

Le notizie più positive nel mondo delle Lambic negli ultimi anni sono state la comparsa di un nuovo birrificio, Drie Fonteinen (in precedenza assemblatore, caffè e ristorante), di un nuovo assemblatore, De Cam, e l’affacciarsi di una nuova generazione decisa a portare avanti la produzione di birra alla Oud Beersel e l’assemblaggio alla Hanssens. Questi quattro produttori, insieme con Boon, De Keersmaeker, De Troch, Lindemans e Timmermans, fanno parte della nuova Hoge Raad voor Ambachtelijke Lambikbieren (Corporazione dei produttori di Lambic), conosciuta con l’acronimo Horal. Tra le sue attività figura un Tour de Gueuze biennale, durante il quale alcuni autobus fanno il giro dei birrifici associati. Nel 2000 l’associazione ha collaborato con la Provincia del Brabante fiammingo per la pubblicazione del volume Lambi(e)k en Gueuze di Jef Van den Steen. Questo libretto illustrato, pubblicato in origine in fiammingo, contiene anche ricette di piatti preparati con birre Lambic e un breve saggio sulla regione.

Boon
Si trova proprio a Lembeek. In origine sorgeva sul sito che aveva ospitato un birrificio e distilleria di campagna già nel 1680. Il proprietario René De Vits, assemblatore di Lambic, nel 1977 è andato in pensione e ha venduto l’azienda a Frank Boon, allora anch’egli assemblatore. Boon si è trasferito in un edificio più spazioso e ha cominciato a fabbricare birra. Oggi dirige il birrificio che fa parte del gruppo Palm. Quando è entrato nel settore, i birrifici chiudevano per mancanza di eredi; i proprietari non avevano figli oppure questi non ambivano a un lavoro duro che dà ricompense modeste: la Lambic richiede più tempo di ogni altra birra per essere prodotta ed è particolarmente difficile da vendere, data la complessità del gusto. Boon ha rivitalizzato il settore, di cui è diventato un abile portavoce. Crede fermamente in certe tradizioni e utilizza una mistura rigorosamente torbida, ma non crede che la Lambic fosse acida e asciugante come vorrebbero alcuni puristi.
La sua Oude Lambik vanta un’eccellente complessità, con una nota tostata vinosa che ricorda lo Chardonnay. La Oude Gueuze (6,5 per cento di alcol in volume) è speziata (zenzero?), con una certa dolcezza a metà palato. Le Lambic vecchie che gli piacciono di più sono assemblate per produrre la Gueuze Mariage Parfait. La Oude Gueuze Mariage Parfait (con una densità di 16 Plato e alcol in volume dell’8 per cento) ha un aroma di menta e un attacco morbido e dolcino, aromi di vaniglia del rovere americano a metà palato, un’intensità che emerge gradatamente e acidità nel finale.
Si possono organizzare visite tramite l’Ufficio del turismo della valle della Zenne e del Payottenland, nella vicina cittadina di Halle. Tel. 02 356 42 59.

Cantillon
Questo attivo birrificio-museo si trova a Bruxelles, al 56 di rue Gheude, Anderlecht (tel. 02 521 2891), non lontano dalla Midi Station dove arriva l’Eurostar. La famiglia Cantillon in origine produceva birra a Lembeek e giunse a Bruxelles nel 1900. Il suo discendente Jean-Pierre Van Roy è un purista e un difensore schietto e tenace delle Lambic estremamente secche, anche se i suoi ultimi prodotti sono meno aggressivi e più citrini. Mentre la Lambic non assemblata di solito si trova solo alla spina, Cantillon imbottiglia le vecchie annate, quasi prive di anidride carbonica, con l’etichetta Bruocsella Grand Cru.
Chi visita il birrificio può degustare i prodotti e acquistarli. C’è sempre qualche novità: in un’occasione ho assaggiato un prodotto chiamato Iris, una birra di puro malto fatta con luppoli freschi ma con fermentazione spontanea, nello stile di una Lambic. Aveva un leggero aroma affumicato, fenolico, un palato untuoso con sapore di frutta secca e un finale secco marcato dal legno. L’intento era far rinascere una specialità di Bruxelles rappresentata storicamente da una birra un tempo popolare chiamata Jack-Op. Cantillon produce anche alcune delle birre di frutta più secche e più autentiche (vedi la Kriek e la Lambic). Utilizza un’interessante varietà di legni, tra cui botti del Porto.

De Keersmaeker
(«Mort Subite»)

Il famoso caffè di Bruxelles «Mort Subite» (Morte improvvisa), non lontano dalla Grand’Place, dà a questo birrificio il nome più conosciuto e celebre, anche se sarebbe più appropriato chiamarlo «Lunga vita»; il birrificio vero e proprio si trova nella zona nord-orientale della città, a Kobbegem nel Payottenland. In passato gran parte di quest’area era di proprietà dell’abbazia di Affligem. Una famiglia di nome Van Der Hasselt produceva birra qui già nel 1604 e quasi 400 anni dopo mi sono trovato a parlare con Bernadette Van Der Hasselt, discendente della famiglia, che si occupa del controllo della qualità nel birrificio. Ho visto i libri mastri del 1721 – tra le cui note si trovavano formulazioni per l’uso della Lambic per curare disturbi di cavalli e bovini –, un manoscritto relativo all’acquisto di un mulino firmato nel 1780 a nome dell’arciduchessa Maria Teresa e un altro dell’anno seguente che portava il sigillo di cera dell’imperatore Giuseppe II. Il birrificio è stato guidato per cinque generazioni dalla famiglia De Keersmaeker, anche se negli ultimi anni è entrato a far parte del gruppo Alken-Maes, oggi di proprietà di Scottish and Newcastle.
Questa azienda è stata a lungo associata al caffè della famiglia Vossen a Bruxelles: costruito intorno al 1880, fu ristrutturato nel 1926 ed è un classico di quell’epoca. Chiamato in origine «La Cour Royale», era il luogo d’incontro preferito del personale della Banca Nazionale e dei giornalisti di «La Libre Belgique», che lì giocavano a dadi. Quando uno di loro era richiamato con urgenza in ufficio, il gioco era concluso con la «mort subite», che finì per diventare il nome del locale. Si trova al numero 7 di rue Montagne aux Herbes Potagères e serve tuttora le birre del birrificio. Le birre del caffè sono le versioni addolcite, filtrate e pastorizzate che hanno larga diffusione. Il birrificio produce anche una Lambic vecchia dalle note lievemente erbacee (issopo, a detta di un appassionato).

Drie Fonteinen
Il luogo d’incontro preferito dagli appassionati di Lambic è questo caffè-ristorante, da lungo tempo assemblatore e oggi birrificio, nella graziosa cittadina di Beersel, a una decina di chilometri da Bruxelles, che, quando era un centro rurale, era famosa per i ciliegi e in passato vantava almeno una dozzina di caffè che assemblavano la propria Gueuze e producevano Kriek.
«Le Tre Fontane» (3 Teirlinck Plein, tel. 02 331 06 52; fax 02 331 07 03) risale al 1887 e fin dai primi giorni ha assemblato le sue Gueuze. È in mano alla stessa famiglia, i Debelder, dal 1953. La piazzetta in cui si trova prende il nome dal poeta, romanziere e commediografo Herman Teirlinck, cui si attribuisce il merito di aver convinto il proprietario del caffè, Gaston Debelder, a continuare ad assemblare Gueuze in un periodo in cui l’interesse per questa birra sembrava in declino. Qui è possibile bere birra con pane e formaggio oppure consumare un pasto completo, con piatti che vanno dallo stoemp (la versione fiamminga del fritto di carne e verdure) alle cozze preparate con Gueuze o la gallina faraona con Kriek.
Durante una visita ho avuto l’opportunità di assaggiare una Gueuze assemblata da Gaston Debelder nel 1972 e servita tre anni dopo al matrimonio del figlio Armand. Era delicata, lievemente oleosa ed elegante. L’assemblaggio conteneva Lambic di Girardin, Lindemans e De Neve, quest’ultimo scomparso da tempo. Alla fine degli anni Ottanta, Gaston ha cominciato a insegnare ad Armand l’arte dell’assemblaggio e nel 1991 gli ha ceduto le redini dell’attività. Armand si è specializzato nell’uso di botti della Côtes de Nuits: va in Francia, annusa le pièces e sceglie quelle che a suo giudizio daranno la migliore Gueuze.
La Lambic di Drie Fonteinen presenta aromi robusti, un fruttato che ricorda l’albicocca, una buona vaniglia del rovere, un tocco di Jerez e un’ottima lunghezza. Il caffè offre inoltre una Faro, a base di Lambic maturata per un anno in pièce e addolcita con zucchero candito. Una Gueuze vecchia assaggiata nel 2001 aveva lo stesso fruttato e la stessa vaniglia del rovere, soprattutto al naso, al punto da ricordarmi un Bourgogne. Le stesse caratteristiche si ripresentavano sul palato, con un tocco di crema al limone e una grande richezza aromatica che sfociava in un finale asciutto con invitanti note di frutta secca.

Girardin
Un birrificio di campagna in quella che era la tenuta di un aristocratico, a St Ulriks Kapelle. La produzione iniziò nel 1845 come parte della tenuta del nobile. I Girardin ne sono proprietari dal 1882, da quattro generazioni. Dopo anni di vane richieste, mi è stato concesso di visitare il birrificio nel 1993. Louis Girardin aveva allora 69 anni e lo conduceva con la moglie Jacqueline e i figli Paul e Jan, senza alcun dipendente. Il suo conservatorismo rurale si traduceva tra l’altro in diffidenza nei confronti dei ficcanaso stranieri con i capelli lunghi. È stata una visita memorabile e mi ha rattristato apprendere della morte del signor Girardin mentre mi trovavo a un festival della birra nel 2000. Per fortuna la sua famiglia porta avanti l’azienda. La Girardin coltiva da sé il frumento, produce la Lambic d’inverno e una Pils d’estate. Per la Lambic utilizza il 40% di frumento e dispone tuttora di una macina di pietra. C’è ancora un tino di ghisa aperto per la fermentazione e un bollitore rivestito di mattoni, anche se al momento della mia visita era appena stato installato un impianto più moderno. Gli incontentabili Girardin hanno anche due vasche aperte per il raffreddamento, una nella soffitta e l’altra a livello dei locali di produzione.
Lavorano con un metodo davvero artigianale e le birre secche e rotonde con il carattere del frumento hanno una complessità apprezzata da tutti gli appassionati di Lambic tradizionali. Louis Girardin mi offrì per prima una bottiglia conservata nella sua cantina per cinque mesi, in cui trovai una notevole combinazione di intensa secchezza e morbidezza. Poi andò a prendere una bottiglia di tre anni, una delle birre più complesse che abbia mai assaggiato. Gli aromi e i sapori che sprigionava mi ricordavano la polvere di talco, la segatura di legno di cedro appena tagliato, il fieno, le mele, il sidro e uno Jerez Oloroso secco.

Gli assemblatori di Gueuze
Tradizionalmente, i produttori di Lambic vendevano birra semi-finita a stabilimenti che effettuavano solo la fermentazione. Vendevano insomma il mosto di malto, un po’ come un torchio che pigia le uve per diversi produttori. I birrifici vendono il mosto anche agli assemblatori, come vendere il vino di una vigna a una casa di Cognac. Né l’una né l’altra pratica sono comuni nella produzione di altre tipologie di birra, ma la Lambic è speciale in virtù della sua fermentazione e la Gueuze, di stile affine, per l’assemblaggio. In genere gli assemblatori usano le proprie botti; fermentano e maturano il mosto per un periodo che va da uno a tre anni nel solito modo. Le Lambic risultanti, giovani e vecchie, sono quindi mescolate e imbottigliate; dopo qualche mese di bottiglia il «taglio» acquisisce la sua armonia e si sviluppa la carbonatazione.

De Cam
Nel grazioso villaggio di Gooik, nel cuore della regione tradizionale, una fattoria-castello del secolo XVII che molto tempo fa ospitava un birrificio di Lambic, De Cam, ha riscoperto la birra nel 1997. Willem, figlio del poeta Van Herreweghen, utilizza uno degli edifici come cantina per assemblare la Gueuze. Si trattava di un’attività a tempo parziale, poiché lavorava come direttore di produzione alla Palm, un birrificio di discrete dimensioni. Va sottolineato che commissionava le botti per la De Cam che, cosa ancora più sorprendente, erano fatte sulla base di un disegno tedesco degli anni Sessanta dell’Ottocento. Venivano incredibilmente ricavate dalle vasche di maturazione in rovere usate in passato per la Pilsner Urquell. Tutte le 45 botti usate sono di questo tipo. Sono allineate dietro una finestra, con una disinvolta insegna al neon. Il tutto sembra assai distante da Bruegel, impressione rafforzata dall’assemblatore, Karel Goddeau, poco più di vent’anni, volto incorniciato da lunghi riccioli biondi.
Goddeau lavora «di giorno» alla Proef, forse il più moderno birrificio del Belgio, dove produce una gamma vastissima di tipologie; ha una passione per la Gueuze da quando gli è capitato di bere una Girardin a 15 o 16 anni. Ha frequentato una scuola per birrai per quattro anni, restando però deluso dalla mancanza di letture sulla fermentazione spontanea. Nei primi assemblaggi De Cam usava le Lambic di Boon, Girardin e Lindemans, mentre oggi ha una propria Lambic prodotta a Drie Fonteinen. Un primo imbottigliamento degustato alla cieca si è guadagnato critiche entusiastiche per la complessità e la secchezza. Era fortemente dissetante e carico di aromi intensi, in particolare pompelmo e uva spina.
Le birre si possono trovare nell’adiacente Volks Café De Cam (57 Dorps Straat, tel. 02 532 21 32, chiuso lunedì).

Hanssens
In origine era un birrificio chiamato St. Antonius, aperto nel 1896; produceva una birra da tavola scura e Lambic. I bollitori di rame furono prelevati dall’esercito tedesco durante la prima guerra mondiale per farne munizioni e la produzione si interruppe. Dopo la guerra iniziò l’attività di assemblaggio e per decenni l’azienda godette di ottima reputazione per le sue Gueuze; negli ultimi anni ha fatto proseliti negli Stati Uniti. Il futuro dell’azienda si è fatto incerto nel 1999, quando la terza generazione, rappresentata da Jean Hanssens, ha manifestato l’intenzione di cessare l’attività. I salvatori sono stati Sidy, la figlia di Jean, e suo marito John, appena si sono resi conto che questo lavoro non avrebbe assorbito tutto il loro tempo.
La Hanssens produce 70 botti da poco meno di 600 litri all’anno, ma nelle cantine le botti sono molte di più, dato che una parte della birra matura per tre anni. Ogni assemblaggio è fatto con quattro o cinque botti. Sidy mi ha detto che non opera in base a una ricetta predefinita ma per acquisire un determinato gusto. Salvo confessare che non vuole una Gueuze acida, tutto ciò che ha saputo dirmi circa il carattere della sua birra è stato: «Quando la bevo, voglio sentire il sapore della regione». Al momento della mia visita c’erano 30 000 bottiglie in sedici «caves»; ne ha prese alcune ed è passata in casa per assaggiarle.
La Hanssens Oud Gueze ha un carattere terroso, con un fruttato complesso che mi ha sempre ricordato il rabarbaro. Altri degustatori hanno parlato di melone e perfino di ananas.

 

Giugno 2005

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