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La rivincita (gourmet) delle bionde

Carte delle birre, cucina alla birra, bottiglie stappate “sotto banco” per clienti affezionati...
Le bionde, ormai, cominciano a rubare posizioni al vino e sempre più chef e ristoratori di livello si avventurano in abbinamenti e sperimentazioni culinarie a base di birra (anzi, di birre).
Sdoganate da un’esistenza relegata a pub e pizzerie, insomma, queste
bollicine a base di cereali sono sempre più presenti nell’alta cucina e permettono di divertirsi e di uscire dai soliti schemi...

Una mattina d’estate, sulla terrazza del ristorante Umberto a Mare a Ischia, una delle più suggestive d’Italia. Un cliente di quelli “storici” ordina una doppia (!) porzione di parmigiana di melanzane e per lui i fratelli Regine stappano una bottiglia particolare: una Isaac, la “biére blanche” del microbirrificio Baladin di Teo Musso, a Piozzo, l’unica di questa tipologia prodotta in Italia.

Scene simili si ripetono sempre più spesso nei ristoranti più blasonati della penisola, senza escludere i pluriforchettati e pluristellati, sancendo quello che ormai è un dato di fatto: la birra ha fatto il suo ingresso nella ristorazione, quella “seria”.

Se in Belgio la Cuisine à bière – alta cucina realizzata con birra e materie prime di qualità da chef come Alain Fayt nel suo Restobière di Bruxelles – è ormai una realtà di tutto rispetto già da tempo, in Italia nell’opinione comune fino a tempi recenti è prevalso il binomio (spesso errato) “pizza&birra” e l’immagine di bevanda dissetante, accoppiata a quella di pub rumorosi e panini gommosi.

Tutt’al più, si adoperava la birra in alcune
ricette popolari con il pollo o le patate, piatti in cui della bevanda, fatta evaporare totalmente in cottura, si perde quasi ogni ricordo e preparati, nel migliore dei casi, con birre assolutamente anonime. Colpa, probabilmente, anche del fatto che trovare prodotti diversi dalla solita “bionda leggera” – oltre a trovare chi sia in grado di conoscerli e apprezzarli – era relativamente difficile fino a un passato non troppo lontano.
Poi finalmente qualcosa ha iniziato a muoversi e
aromi di malto, luppolo, avena, orzo tostato, cacao, fichi, bergamotto, coriandolo o addirittura “l’odore delle dune del deserto della Namibia” (come nella Nora, la birra biologica di Baladin) hanno invaso le tavole gourmet del nostro Paese.

Protagonisti della rivincita della birra e luoghi d’elezione della nascita di una cuisine à bière tutta italiana sono i microbirrifici artigianali la cui produzione, nata per il consumo interno con piatti abbastanza semplici ma curati, ha riscosso in alcuni casi un notevole successo ed è arrivata alla distribuzione nazionale.

Torna, ancora una volta, il nome di
Teo Musso che dopo aver aperto il suo locale nel 1986, dal 1996 ha iniziato la produzione artigianale delle birre che hanno cambiato il destino delle bionde nel nostro paese.
D’altra parte il
legame tra Baladin e cibo è davvero a tutto tondo, se si pensa che – oltre a collaborare con ristoranti e artigiani-affinatori come Occelli, Guffanti, Domori e Amedei – con le trebbie ancora fresche di fermentazione del birrificio si nutrono i vitelli (femmine e castrati) di razza Piemontese della vicina azienda di Agostino Musso: una carne che Sergio Capaldo, consulente SlowFood, definisce senza timore “l’anti Kobe" e che ha un gusto vellutato e un’ottimale presenza di grasso. Il tutto nel pieno rispetto della sostenibilità ambientale e del territorio: altro che massaggi alla birra!

Si deve in molti casi proprio all’incontro “illuminante” con le Baladin se alcuni tra i più grandi cuochi italiani hanno scoperto il mondo della birra. O meglio, delle birre: come afferma Lorenzo Dabove, in arte Kuaska (grande esperto italiano di birre belghe, che all’argomento ha anche dedicato un libro di prossima uscita), «la birra non esiste, ci sono le birre».

Dopo anni spesi a promuovere la birra di qualità nel nostro Paese – un po’ come ai tempi in cui per il vino si chiedeva solo “bianco o rosso?” – oggi si prende le sue soddisfazioni tenendo lezioni ai paludatissimi corsi per sommelier dell’AIS e organizza periodicamente presso lo Sporting Club di Monza una “sfida” tra vino e birra per il miglior abbinamento con piatti di alta cucina, in collaborazione – e scherzosa competizione – con il sommelier Luigi D’Amelio.

Kuaska ci racconta dei locali più interessanti che sorgono soprattutto al Nord, sulla scia dei brewpub anglosassoni, come La Ratera, birreria milanese il cui proprietario Marco Rinaldi, appassionato di birra, ha “contagiato” il giovane cuoco Davide Negri che realizza piatti come il Gazpacho di verdure con filetti di triglia alla Fleurette del Birrificio Italiano di Agostino Arioli di Lurago.

E qui, a Lurago, Mariangela Colombo delizia gli avventori con squisitezze come la Carne salada con fagioli cotti nella birra, e si bevono le birre della casa come la Cassissona – una “birra spumante” aromatizzata al ribes, perfetta con il Puzzone di Moena – e la Fleurette, appunto, leggera e profumata, ottima anche nella zuppetta fredda di frutta.

Ma il vero segnale della “rivincita” della birra è stato proprio lo sdoganamento da pub e pizzerie (per quanto gourmet) e la sua comparsa sulle tavole più blasonate. Se ancora pochi sono i “coraggiosi” che hanno una vera e propria carta della birra (come il Marconi di Sasso Marconi, con etichette italiane come Baladin e Cittavecchia, o Ciccio Sultano, al Duomo di Ragusa, che però ha desistito visto la fredda risposta del pubblico) sono molti i ristoranti che propongono abbinamenti ad hoc e gli chef che si cimentano con lager, stout o pilsner.

A Milano Stefania Moroni, folgorata dall’assaggio della Nora, la propone come aperitivo a fianco di Bellavista e Dom Perignon, senza alcun complesso di inferiorità, ma anche in cucina: nello Scamone di vitello sanato alla Nora con cipollotti e purea di melanzane, la carne è marinata per 24 ore nella birra e cotta al punto giusto da rimanere rosata all’interno e mantenere intatti i profumi della Baladin.

A Bellagio, Ettore Bocchia – il capofila dell’ italian way alla cucina molecolare – propone come amuse-bouche del menu molecolare del Mistral dell’Hotel Villa Serbelloni le crocchette di Guiness, un piccolo capolavoro tra scienza e gusto messo a punto con Davide Cassi, il fisico dell’Università di Parma con cui da anni collabora.
Un piatto nato quasi per caso, racconta lo chef, inserendo
dell’azoto liquido nella birra – alimento molto ricco di proteine emulsionanti – e notando che la sua schiuma già densa e persistente assumeva una consistenza davvero unica. Montata a freddo, la schiuma viene immersa, in quenelles, nell’azoto liquido che crea una superficie croccante lasciando l’incredibile texture dell’interno, che poco ha a che fare con le spume “sifonate”. Bilanciando perfettamente – dopo diversi studi e tentativi – l’amaro della birra, le crocchette sono accompagnate da ostriche, secondo la più pura tradizione scozzese, e una salsa allo yogurt la cui acidità contribuisce all’equilibrio complessivo. Un piatto antico, dunque, non a caso particolarmente apprezzato dalla clientela anglosassone per la quale ha una sorta di effetto proustiano, presentato però in una veste del tutto inedita.

Massimiliano Alajmo utilizza spesso la birra in cucina, dalla pastella per le fritture ad alcuni piatti veri e propri, come il Club sandwich con insalata alle marasche, servito con birra e sciroppo di marasche, o il Fish&Chips alla veneziana con birra aromatizzata al coriandolo. E se a un ospite delle Calandre venisse voglia di accompagnare i grandi piatti dello chef con una birra all’altezza, la selezione del Calandrino (dalla Rochefort 10 alla St. Feuillen Blonde) è a portata... di sommelier.

Lucio Pompili, a Cartoceto, è un vero e proprio pioniere: stuzzicato da Marco Bolasco, curatore con Marco Sabellico dell’Almanacco del Berebene Birra pubblicato nel ’99 dal Gambero Rosso, già in tempi dunque non sospetti decise di esplorare questo universo: dopo molti assaggi e sperimentazioni, oggi al Symposium propone un menu degustazione con piatti abbinati a grandi birre, in un vero e proprio percorso che va dalla Steiner Weisse, una birra chiara, non troppo potente e dal gusto lievemente affumicato che richiama quello dell’ Anguilla affumicata con guanciale di maiale e insalatina, fino al Tortino di carote e cioccolato con gelato all'anice stellato, servito con una birra scura irlandese dall’aroma d’orzo tostato. Abbinamento straordinario, tanto che lo chef lo proporrebbe anche come merenda pomeridiana per signore annoiate da solito té!

A Roma, oltre a diversi birrifici e birrerie (come la storica Oasi della Birra o lo Starbess di Mike Murphy, che ha però temporaneamente sospeso l’attività), già da diversi anni Andrea Fusco nel suo Giuda Ballerino al Tuscolano propone una selezione di birre pregiate, in progressivo divenire tra assaggi e scoperte.
La storia della birra al Giuda ha seguito l’evoluzione stessa del locale: nato come
ristorante-pizzeria, serviva inizialmente birre “commerciali”, fino alla svolta che lo ha portato a divenire uno dei nomi di punta della ristorazione romana, con una notevole lista dei vini e una selezione di grandi birre. Attualmente l’assortimento prevede le 5 birre Baladin (tra cui la nuova Elixir, una birra demi-sec molto particolare) la Hy Cuvée e Super di Zago e le Pennino (realizzate da coltivatori di castagne, che le aggiungono in fermentazione con risultati interessanti) oltre al distillato di birra della Theresianer: proprio questa birra – racconta lo chef – in passato si è rivelata un ottimo abbinamento (probabilmente l’unico possibile!) per la Ricciola su salsa di distillato di birra e carciofi alla giudia.

La birra, poi, trionfa anche nel dolce: Marion Litchle, al Pagliaccio che guida insieme a Anthony Genovese, propone un babà (con lievito di birra) bagnato con il rum e servito freddo con della crema, immerso nel sugo delle pesche cotte nella birra (una Trappista con aggiunta di una bionda leggera per attenuarne l’intensità): un dessert fresco e delicato, a dispetto della presenza alcolica, perché perfettamente bilanciato, ideale come conclusione del menu degustazione del ristorante di via dei Banchi Vecchi.

Sempre a Roma – oltre alla Gatta Mangiona di Giancarlo Casa, che abbina a pizze “gourmet” una selezione di grandi birre non solo italiane – c’è Gabriele Bonci, cuoco folgorato da tutto ciò che concerne la fermentazione e che ha abbandonato – temporaneamente – la cucina per fare Pizzarium, il tempio della pizza a taglio di via via della Meloria (via Cipro), dove sforna pizze al taglio e focacce dalla lievitazione perfetta con condimenti di alta cucina e offre una circa 80 etichette di birra, da Baladin e Beba alla San Bernardus, proposte in abbinamenti sempre nuovi per sollecitare la curiosità dei clienti.

Recentemente Gabriele ha pure realizzato insieme a Vinicio Luzietti della Cremeria Aurelia un gelato al gusto di fichi e birra: alla Trappista Rochefort 10, molto aromatica e con forti sentori di frutta, è abbinato il frutto che più ne ricorda l’aroma; ma non mancheranno sperimentazioni più “invernali” con le prugne californiane o con i datteri.

Ma l’avanzata della birra nella ristorazione italiana non si ferma a Roma, se pensiamo che a Vico Equense Gennaro Esposito – oltre a proporre le Baladin e la tedesca Urtyp della Kummert – serve delle ostriche leggermente speziate con gelatina di Noel Baladin e la sua schiuma, e Beppe Barone alla Fattoria delle Torri di Modica, prepara un pane a lievitazione naturale con la birra: pratica non nuova, certo, ma lui usa la Girardin 1882, una pregiata Gueuze belga dall’acidità particolarmente affascinante!

Insomma, è solo l’inizio...


Fonte:  Luciana Squadrilli, foto di Francesco Vignali, GAMBERO ROSSO

Novembre 2005

 

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