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Beer World

di Michael Jackson
 

Slowine
numero 1, gennaio - marzo 2001

Le cattive notizie. "C’è una nuova ondata di acquisti di dimensioni senza precedenti. Per tutti i grandi birrai oggi il mercato è il mondo intero".


Un mondo con un unico vino sarebbe un luogo felice? No, naturalmente. Una sola birra per tutto il mondo? I grandi produttori hanno cercato per decenni di creare marche internazionali di birra, e per anni non ci sono riusciti; oggi però il loro sogno sta per realizzarsi.
I birrai sosterranno di non essere in grado di imporre un’uniformità se il consumatore non la desidera: dunque molti consumatori sono perlomeno loro complici. Perché? La maggior parte di loro conosce meglio il vino della birra, anche se il mondo beve molta più birra che vino. E dato che la conoscono tanto poco, pensano di essere più sicuri rivolgendosi a un nome conosciuto, a un prodotto privo di una complessità impegnativa di aroma, gusto e finale.
Immaginate un mondo nel quale gli unici vini esistenti siano bianchi secchi, pallide imitazioni degli Chardonnay francesi. Con l’eccezione della Guinness (una stout) e della Bass (una ale), tutte le birre conosciute a livello internazionale appartengono alla stessa tipologia (imitazioni pallidissime della Pilsener lager, praticamente indistinguibili l’una dall’altra).

Diversi produttori di queste imitazioni internazionali della Pilsner hanno cercato di conquistare il mondo. In maggioranza provenivano da paesi con una popolazione esigua e quindi con un mercato locale modesto. La prima, negli anni Sessanta, è stata la canadese Carling, ma non aveva attrattive particolari e quindi ha fatto fiasco.
Il concorrente successivo è stato la Foster’s, che ha cercato di associare il proprio prodotto a presunti "valori" australiani: l’uomo temerario, atletico, amante della vita all’aperto. Non c’è alcun nesso tra questi "attributi" e la birra. La Foster’s è popolare ma non ha conquistato il mondo.
L’enorme mercato degli Stati Uniti ha sempre deluso la danese Carlsberg, una sfidante più ostinata. Gli americani non associavano immediatamente la Danimarca alla birra: questa nazione vanta una grande tradizione birraria, ma forse non ha un’identità sufficientemente chiara. Anziché rivolgersi a occidente, oggi la Carlsberg guarda a nord e a est, con offerte di acquisto che le darebbero il controllo di ogni fabbrica di birra di medie e grandi dimensioni nei paesi nordici e baltici.
Il mercato americano ha riservato maggiore successo alla Beck’s, forte delle sue origini tedesche. La Beck’s di Brema è uno dei pochi birrifici costieri della Germania. Tradizionalmente, i birrai tedeschi guardavano quasi sempre all’entroterra, al più grande mercato interno d’Europa. Per decenni l’America è stata un grande mercato per la Heineken, prodotta in una nazione prevalentemente costiera e rivolta all’esterno. La birra olandese paga oggi il suo successo: negli Stati Uniti è diventata troppo familiare per presentare attrattive speciali.



La stessa sorte potrebbe capitare ai produttori che più recentemente hanno cercato di dominare il mondo. L’americana Budweiser è stata per anni praticamente sconosciuta al di fuori degli Stati Uniti, mentre oggi è sulla bocca di ogni giovane consumatore europeo con il cappellino da baseball all’indietro, da Belfast a Bologna. La pubblicità la presenta come una birra "leggera" - e "moderna", benché abbia più di cento anni - ma la popolarità tra i giovani può trasformarsi in un successo a lungo termine?
La mortale nemica della Bud, la Miller Lite, è quasi altrettanto onnipresente. I dirigenti della Miller devono essersi messi a ridere leggendo recentemente che la loro azienda è considerata un futuro obiettivo di acquisizione da parte del birrificio inglese Scottish and Newcastle, molto più piccolo. Più piccolo sì, ma deciso a imporsi a livello internazionale. La Scottish and Newcastle sta inghiottendo la francese Kronenbourg, che è proprietaria di birrifici in Belgio e controlla l’italiana Peroni. Frattanto, in una sorta di contrappasso, la Bass and Whitbread della Gran Bretagna è stata assorbita dal gigante mondiale belga Interbrew, che produce la Stella Artois.
Insomma, c’è una nuova ondata di acquisti di dimensioni senza precedenti. Per tutti i grandi birrai oggi il mercato è il mondo intero. Continueranno a presentare le loro birre di stile internazionale come delle super-premium, in certo qual modo superiori a quelle nazionali o locali, ma com’è possibile? Una birra da vendere a tutti non deve dispiacere a nessuno e quindi ben difficilmente può appagare chicchessia. Le birre internazionali si vendono solo se si appellano al minimo comun denominatore del gusto; sono la risposta del mondo della birra ai McDonald’s. Il loro tentativo di diventare internazionali è dettato in parte dall’esempio di altre industrie che hanno marchi globali. Un secondo fattore è che i produttori delle tradizionali nazioni birrarie si trovano ad affrontare una riduzione della domanda sul mercato interno. I paesi di maggiore tradizione birraria sono stati anche in prevalenza le prime nazioni industrializzate; quando spariscono le miniere di carbone e le acciaierie, i lavoratori trascorrono più tempo davanti al computer e la sete diminuisce. Inoltre, i consumatori si preoccupano del proprio peso e della propria salute e devono stare attenti quando guidano; ciò nonostante, apprezzano ancora una buona birra. Il reddito di cui dispongono è più alto che mai e sono disposti a spendere di più per bere meno. Vogliono bere meno ma meglio, bere di meno ma gustare di più. I produttori di birra che hanno investito miliardi per soddisfare un mercato di massa liquidano la cosa parlando di "consumo di nicchia", e, mentre loro ignorano la realtà, i consumatori, con un ribaltamento di ruoli nel villaggio globale, si rivolgono al vino... È vero che i cittadini dei paesi produttori di vino stanno passando alla birra, ma purtroppo non in quantità sufficiente da compensare le perdite.

Anche se si avviano a conquistare il mondo, le imitazioni internazionali della Pilsener sembrano essersi impoverite, sono diventate troppo anemiche. Probabilmente hanno toccato l’apice del carattere cinquant’anni orsono, un secolo dopo la nascita della Pilsener originale in Boemia. Tipologie più vecchie cominciano oggi a riprendere slancio, dopo essersi diffuse a un ritmo più moderato. Le birre di stile internazionale, onnipresenti, pubblicizzate in misura massiccia e identiche nel gusto, hanno stancato se non irritato una minoranza consistente di consumatori avveduti, i quali si rivolgono a birre più dotate di carattere.
Anche le più grandi fabbriche di birra offrono prodotti simili, anche se raramente si impegnano a fondo per venderle e a volte le lanciano solo sul mercato interno. Per esempio, la Foster’s produce una lager scura soffice dal sentore di noce, la Dogbolter. La Carlsberg ha appena prodotto in via sperimentale una ale caramellata, nello stile delle birre di abbazia. La Beck’s ha lanciato una birra di uno stile un tempo tipico della Oktoberfest di Monaco, che però si può trovare soltanto negli Stati Uniti. Heineken presenta una meravigliosa birra scura di frumento, ma solamente nei Paesi Bassi (è stata venduta per un breve periodo negli Stati Uniti, pubblicizzandola in parte in olandese). Budweiser ha provato con ales amare, floreali, intensamente luppolate nello stile del Nordovest americano. Miller produce una birra di frumento di tipo belga deliziosamente speziata, chiamata Celis White (ma sta vendendo lo stabilimento che la produce). Scottish e Newcastle vanta una celebre Brown Ale. La vastissima gamma della Interbrew comprende birre dal gusto vinoso prodotte con lieviti naturali. Tra tutte queste, soltanto la Newcastle Brown è ampiamente presente sui mercati internazionali. Per trovare birre davvero ricche di carattere il viaggiatore farà meglio a rivolgersi a birrifici nazionali o regionali.
Mentre le grandi compagnie cercano con alterne fortune di creare marchi mondiali, oggi una serie di prodotti di piccolissimi birrifici gode di fama realmente internazionale.
Una fabbrica di birra che ha sempre ambito a questa fama è la Anchor di San Francisco: la Steam Beer vivacemente secca e la Liberty Ale intensamente amarognola e stuzzicante sono una leggenda per appassionati di birra che vivono a migliaia di chilometri di distanza. Anche la Samuel Adams Boston Lager, prodotta sull’altra



costa, è conosciuta in tutto il mondo. Pur essendo meno ricca di carattere, è di gran lunga superiore alla birra americana convenzionale.
Gli appassionati di birra, dagli Stati Uniti alla Svezia fino all’Italia, conoscono le ales inglesi di grande equilibrio del birraio londinese Fuller’s. In Gran Bretagna questo birrificio è associato alla periferia nordoccidentale di Londra. Le ales, le porter e le stouts fermentate in contenitori di pietra della Samuel Smith sono di moda in varie parti del mondo, ma nella natìa Inghilterra sono create nella contea settentrionale dello Yorkshire.
A Washington, D. C., un bar famoso per le birre, il Brickseller, serve spesso la Traquair House, una forte ale scura prodotta in un castello della Scozia; un’altra birra offerta spesso dal locale, anch’essa scozzese, è una ale aggiunta di erica.
Recentemente sono stato a una cena a Philadelphia in cui sono state servite una dozzina di variazioni della lambic Cantillon alla spina, una birra fortemente asprigna. Una versione della Cantillon maturata su lamponi artici è venduta alla spina in un pub di Stoccolma. Una dozzina di Cantillon in un bar o la versione al lampone sono entrambe realtà sconosciute in Belgio, il paese dove nasce questa birra. Tra le specialità belghe maggiormente diffuse c’è la Duvel, una ale dorata dall’aspetto innocuo che racchiude un contenuto alcolico due o tre volte superiore a quello delle birre più convenzionali e ha un gusto che ricorda il brandy di pere. Un’altra birra belga che si sta facendo una fama in tutto il mondo è la Chimay di un’abbazia trappista. Questa birra che ricorda il Porto si trova facilmente perfino in Giappone.
Questi prodotti perderanno personalità nel tentativo di vendere di più? Spero di no, anche se mi pare che la Chimay abbia perso un po’ di carattere. Se succederà, saranno sostituiti da altri nel cuore degli appassionati.
Mentre il mondo sta velocemente imparando a conoscere le birre speciali del Belgio, altre grandi nazioni produttrici di birra paiono addormentate. Se la particolare birra di frumento tedesca si sta affermando a livello internazionale, i grandi birrifici di Dortmund e di Monaco sono più pronti a farsi guerra l’un l’altro che a dare l’assalto ai mercati mondiali. Parimenti, gli aspetti più distruttivi del capitalismo occidentale stanno insidiando i grandi birrifici della Repubblica Ceca, ormai liberi dalla benevola negligenza del periodo comunista. La Pilsener originale ha un po’ perso il suo carattere ma è tuttora una buona birra. Se lo perderà abbastanza da conquistare il mondo, forse un altro birrificio ceco più piccolo si metterà a riprodurre l’originale.
La marea montante di birre insipide avrà raggiunto tra breve la sua massima estensione, dopo di che non potrà che ritirarsi riportando alla luce le birre slow di carattere duraturo.

Giugno 2005

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