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via Valdilocchi n° 2

La Spezia

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commerciale@birrificiodelgolfo.it e sito : www.birrificiodelgolfo.it

Risponde alla nostra intervista Stefano Tonarelli, birraio artigiano e socio amministratore, insieme a Luca Masella, del Birrificio del Golfo s.n.c. che ha sede alla Spezia in via Valdilocchi n° 2. La tipologia dell'esercizio è un microbirrificio con impianto di produzione da 1000 l. per cotta.

 

Se vi siete recati allo scorso Pianeta Birra, che opinione vi siete fatti dell'evoluzione di questo appuntamento. Secondo il tuo parere, l'evoluzione che ha raggiunto, va nella direzione di una concreta diffusione della cultura birraria o si sta sempre più appiattendo verso i grandi colossi multinazionali?

Ogni anno da metà degli anni '90 visito la fiera di Rimini dedicata alla birra. Dai miei esordi come appassionato di birra e homebrewer, quando il settore "pianeta birra" ricopriva solo una parte di Rimini mia, nel vecchio padiglione fieristico, il fenomeno è cresciuto sotto ogni aspetto, soprattutto quantitativo. Visitatori che aumentano negli anni, spazi sempre più grandi, orari e tempi dilatati per dare accesso a tutti. Ma negli anni si è sviluppato soprattutto l'aspetto spettacolare, speculativo del mondo della birra e l'appuntamento è diventato quasi una kermesse per le grandi multinazionali del settore (produttivo e distributivo), si respira quasi l'aria di una sorta di "Motorshow" dell'industria birraria. Questo, secondo me, oltre che essere inevitabile, visti i rapporti di forza di chi ha il capitale per investire in un appuntamento così importante dal punto di vista numerico, alla lunga ha privato della fiera di quella energia innovatrice degli anni '90, quando le prime aziende dedite alla filiera dell'autoproduzione e della produzione artigianale per la prima volta si affacciavano al mercato italiano. Era un movimento vivace, innovativo per l'Italia anche se ancora un pò ingenuo. C'era un pò di improvvisazione, alcune aziende che provavano a proporre impianti per microbirrifici poi negli anni sono scomparse o si sono riconvertite in qualche cos'altro, veniva alla luce UnionBirrai con 4 o 5 iscritti. Ma tutto era fertile, nuovo e c'era voglia soprattutto di capire. Oggi, mi ripeto, il rischio è che in questa manifestazione l'autoproduzione corra il rischio di venire schiacciata e svilita dalla forza e dagli interessi dei grandi gruppi che hanno più a cuore i propri profitti e equilibri che l'interesse per il consumatore e della buona birra.

Conoscete eventi tipo il Salone del Gusto (ogni due anni a Torino), Cheese (ogni due anni a Bra (CN)), Expogusto a Milano? Avete intenzione di parteciparvi come espositori nei prossimi anni?

Conosco certamente il salone del gusto di Torino, non le altre due manifestazioni. Vorrei capire maggiormente se dietro a questo rinato interesse per l'alimentazione consapevole e di qualità ci sia veramente la buona fede di molti appassionati o l'interesse improvviso dei soliti furbetti che dirottano anche i mercati di nicchia.

Come è nata in Lei la passione per la birra?

La passione per la birra non lo so quando è nata, nel senso che bevo birra da quando mi ricordo. Ho quasi 40 anni e sicuramente ho iniziato ad apprezzarla fino dall'adolescenza, appassionandomi subito. Ricordo che le poche birrerie presenti nella mia città, La Spezia, parlo dei primi anni '80 avevano difficoltà a farmi entrare poiché ero minorenne. Amo l'atmosfera di quelle prime birrerie, ognuna aveva delle birre diverse poiché dipendeva dalla conoscenza e dal gusto del gestore. Non c'erano grandi distributori, la varietà era forse limitata ma buona la qualità, si trovavano ottime piccole marche che duravano un pò e poi sparivano, ma c'era sempre un buon ricambio. Gli esercizi erano pochi ma i gestori veramente appassionati. Da lì in poi, scattata la molla, ho approfondito le mie conoscenze bevendo molte birre e cercando birrerie anche in provincia e nelle città limitrofe, ho letto molto sulla birra e sul suo mondo, mi sono impegnato perchè la passione non diminuiva ma aumentava con la curiosità. Ho cercato di capire i vari stili differenti, le temperature di servizio e i bicchieri giusti, le varie scuole birrarie, ho apprezzato maggiormente birre sempre più caratterizzate e rare (il Belgio e le sue birre), facendo lo sforzo di ritornare indietro per capire ed apprezzare birre più classiche ma non meno interessanti. Il piacere e l'emozione che dà degustare una buona birra ancora oggi è immutato, come al voglia di imparare e confrontarsi. L'autoproduzione per me è stata una conseguenza ed ho cominciato nel 1994 con i primi kit di  fermentazione di estratto di malto amaricato o in mancanza d'altro del malto da panettiere. Esperienza che ho abbandonato quasi subito, deluso dalla qualità e dal fatto che io non potessi interagire più di tanto, visto che era un prodotto preconfezionato. Per fortuna ho trovato in biblioteca (non c'era internet)un bel libro sull'industria birraria italiana di Anthon Dreher e dei manuali di agronomia, biologia e di chimica industriale e così ho iniziato a "studiare" per farmi la birra in casa. Ho costruito vari impiantini e uno da 50 lt sopravvive ancora oggi nella mia cantina (in qualche fine settimana lo uso ancora con gli amici). In quegli anni ho fatto circa un centinaio di cotte provando un pò tutte le tecniche e un pò di stili diversi, sia a bassa che ad alta fermentazione. Così ho deciso nel 1997 di aprire un brewpub a Pian di Follo (SP) chiamato Caravanserraglio. L'impianto da 200 lt era composto da 2 tini per la sala cottura e due fermentatori/maturatori, interamente manuale, costruito da Luciano Lenzi di Fiè (BZ), maestro birraio e di vita. Dopo centinaia di cotte il locale ha chiuso nel 2003 ed io ho continuato a fare l'homebrewer. Storia di oggi è l'apertura del "Birrificio del Golfo", dove proponiamo esclusivamente "real ales" di matrice anglosassone. Sono membro del Camra e negli ultimi anni mi sono appassionato e ho approfondito specialmente le birre inglesi. L'impianto l'abbiamo preso in Inghilterra, le tecniche e le materie prime sono rigidamente made in England, gli stili che proponiamo si rifanno alla tradizione inglese e alla mia personale esperienza e gusto. Tutte le birre sono artigianali, integrali, non filtrate e non pastorizzate, ricondizionate nel fusto o nella bottiglia.

Si è mai pentito di aver aperto un microbirrificio?

Mai, è quello che vorrei fare per tutta la vita.

In che modo proponete o distribuite le vostre birre?

Abbiamo cominciato a produrre la passata estate e a vendere da settembre. Il nostro esercizio è un microbirrificio, non abbiamo cioè il locale di mescita annesso. Proponiamo principalmente 3 stili di birra ad alta fermentazione di scuola inglese più, nell'idea, qualche birra stagionale, sempre inglese. Tutte le birre sono presenti in bottiglia a 50 cl (in futuro anche da 33) che vendiamo direttamente al pubblico dove abbiamo il birrificio, tutti i lunedì, mercoledì e venerdì dalle 17 alle 19 e a qualche enoteca e negozio specializzato; per i fusti, da 20 e 30 litri, utilizzando la filale locale di una grande azienda distributrice di bevande la quale rifornisce i pubblici esercizi della zona e della Toscana. La difficoltà nella distribuzione diretta della birra in fusto ai pubblici esercizi sta proprio nel meccanismo che tali distributori hanno creato per assicurarsi la totalità del mercato delle bevande: in primo luogo finanziano direttamente i gestori, vincolandoli ad un contratto di fornitura esclusiva; in secondo luogo sono proprietari degli impianti alla spina per cui non c'è verso di riuscire ad inserirsi autonomamente. Il progetto e la sopravvivenza degli esercizi come il mio è liberarsi da questi vincoli e fornire liberamente i locali senza obblighi per nessuno. Ognuno deve essere libero di comprare la birra dove vuole.

Nel caso in cui lei distribuisse le sue birre in altri locali, vi preoccupate di realizzare dei corsi di formazione per coloro che poi distribuiscono la vostra birra nei locali, ovvero vi preoccupate del mondo col quale la spillano, la conservano, la servono ai tavoli, e quindi temperatura di servizio e gestione dei bicchieri?

La preoccupazione c'è, l'intenzione è sempre quella di dare un ausilio di conoscenza e di esperienza al gestore. Più difficile è attuare questo principio se a distribuire la  tua birra è un grosso gruppo dove tu sei solo un piccolo numero senza voce in capitolo. Loro decidono se, come e quanto devi lavorare, i clienti sono i loro. 

Quali sono le sue birre?

Golden ale, alta fermentazione, 5% v.a. Oro carico, spuma soffice, ale delicata e fruttata, delicatamente aromatica i luppolo inglese. Questa birra la vedrei bene, sia per gradazione che per delicatezza con ricche insalate di stagione, anche di mare, o con un primo profumato come le penne agli asparagi e gamberi. Comunque è una birra ben beverina  e dissetante, adatta sempre durante la giornata.

India pale ale, alta fermentazione, 5,7% v.a. Bel colore ramato, spuma persistente, ale rotonda e ben luppolata, robusta. Penso questa si abbini bene con una carne di manzo, tipo costata o al filetto al pepe verde. E' una birra, comunque, da compagnia e un buon socializzante, ideale anche per una pizza o per ogni occasione.

Scotch ale (tipo scotch heavy), alta fermentazione, 7,2% v.a. Colore marrone o "tonaca di frate", spuma spessa, ale piena, forte con note affumicate e torrefatte. Io sono vegetariano e quindi non l'ho testata con la carne. Comunque per le caratteristiche la vedrei bene abbinata con carni scure e dolci, meglio se lievemente affumicate (penserei alla lepre, alla cacciagione tipo il cinghiale con le castagne, al cosciotto di montone affumicato). Va bene comunque anche come dessert e soprattutto nel dopocena.

Quali fra le sue birra riscontrano maggiore successo?

E' difficile un primo bilancio, dato che sono pochi mesi che l'attività è avviata. Noto che c'è un equilibrio tra i tre stili, che essendo molto diversi tra loro incontrano abbastanza le esigenze di tutti.

Quale tra le sue birre non riscuote il successo che Lei sperava, e secondo Lei per quale motivo? 

Anche in questo caso è difficile valutare, mancando un lungo termine di riferimento. Comunque, devo dire, anche dall'esperienza dell'altra mia precedente attività (Caravanserraglio) le birre chiare e più beverine sono più "difficili" da fare capire al pubblico. Sembra un controsenso ma non lo è. Per chi fa prevalentemente birre ad alta fermentazione, come me, è più facile proporre birre speciali, più scure e/o caratterizzate per i seguenti motivi: il pubblico più preparato, che è la minoranza, ricerca sempre o quasi sempre birre speciali e più caratterizzate; il pubblico meno attento, che è invece la maggioranza, sceglie quasi sempre birre chiare perchè così è che concepisce la birra ma pretende che la birra chiara non si discosti da quello che sono abituati solitamente a bere e cioè una lager poco caratterizzata, amara, ghiacciata ed eccessivamente carbonata. Sta anche a noi cercare di avvicinare ed abituare il pubblico meno preparato, c'è bisogno cioè da parte degli addetti ai lavori di dare una mano e contribuire affinché si affermi una più vasta e profonda conoscenza birraria.

Si dice che in Italia ci sia oltre un centinaio di microbirrerie e brewpub. Il fenomeno è sicuramente in crescita, ed è probabilmente un segnale di malessere nei confronti dell'appiattimento del gusto di alcune birre industriali. Il trend che si sta assestando è di per sè positivo, ma secondo il suo parere, verso quale crescita (non soltanto economica) si sta giungendo?

Bisogna distinguere due aspetti. Il primo riguarda la produzione e il numero degli addetti e degli esercizi (microbirrifici e brewpub) che producono birra artigianale dal punto di vista professionale. Non ho dati alla mano, ma credo che il fenomeno vada via via esaurendosi da un certo punto di vista numerico. Dall'inizio del nuovo millennio esistono circa più di cento esercizi e quindi in termini assoluti il dato non è cresciuto rispetto a oggi. Molti esercizi hanno chiuso, per varie ragioni, altri hanno aperto, i migliori e più preparati e innovativi hanno consolidato i loro prodotti e si sono ampliati. Questo lo posso affermare con sicurezza e l'ho riscontrato parlando con le aziende che producono o distribuiscono impianti le quali lamentano che dopo il boom di fine anni '90 e inizio millennio l'istallazione di nuovi impianti ha notevolmente rallentato; dato confermato dal fatto che molte aziende che un tempo proponevano anche impianti per microbirrifici hanno convertito la loro produzione su altri impianti industriali (vedi industria del vino e del latte). Questo assestamento fisiologico è del tutto naturale in quanto in Italia, non essendo un paese prettamente a cultura birraria e non avendo una antica tradizione artigianale, nel medio e lungo periodo si affermano solo le aziende che hanno investito veramente sulle risorse umane di chi fa la birra con un etica, passione e capacità professionale superiore alla media. Sono destinate a chiudere, come hanno chiuso in passato, quelle realtà che producono birra solamente perchè attratte da un'attività nuova e come viene spesso prospettata dai facili guadagni.

Il secondo aspetto riguarda, invece, il consumatore e il variegato mondo dell'homebrewing. In questo caso, invece, abbiamo una notevole crescita e un processo che è ben lungo da esaurire la sua vena di creatività e fermento. Le persone, anche grazie ad internet interagiscono tra di loro, si scambiano opinioni e impressioni. In rete si può trovare tutto e la passione per la birra ha giustamente attecchito tra i giovani che la utilizzano. Sono nati centinaia di siti, di blog, di luoghi dove incontrarsi e scambiare le proprie esperienze sia in termini di autoproduzione che di degustazione appassionata e consapevole. Tutto questo è chiaramente positivo e ancora in notevole espansione, quindi approvo ed apprezzo tutto quello che possa contribuire ad espandere la vera cultura birraria. Notevoli progressi ha fatto il mondo dell'homebrewing che solo talvolta sfocia nella produzione a livello professionale. Una volta era un fenomeno chiuso e i pochi che si dedicavano alla produzione casalinga, se volevano progredire e coltivare la loro passione  erano "costretti" uscire allo scoperto convertendo la propria passione in un'attività professionale. Oggi non c'è più necessariamente questa necessità da parte dell'homebrewer poiché il movimento è maturato, si è moltiplicato di contatti e di supporti e ora finalmente può camminare con le proprie gambe con autonomia e dignità. Il livello di conoscenza e di inventiva è molto alto e spesso i risultati, a livello di qualità generale e in termini di prodotto finito, sono superiori a quelli di molti birrifici professionali: non c'è da meravigliarsi, spesso l'homebrewer è molto più preparato poichè antepone la propria passione e la propria voglia di imparare e l'umiltà di confrontarsi a qualsiasi altra cosa. Può osare, sperimentare, studiare e prepararsi proprio perchè la sua è una mera passione che non è vincolata ad un risultato economico, ad un conto profitti e perdite. Spesso chi produce birra artigianale professionalmente non ha il tempo, la voglia, il coraggio o la capacità di confrontarsi e mettersi in discussione. I motivi che identificava la domanda del questionario sono senz'altro significativi; il processo, sia pure in una fase di stagnazione economica, non si arresta; il consolidamento di certe realtà già affermate è importante. Ma credo sia maggiormente preoccupante  il fatto che tutt'oggi ci sia ancora molta poca professionalità, preparazione e improvvisazione in certe realtà produttive che malgrado tutto sopravvivono e riescono comunque a rimanere a galla. Se il mercato, cioè noi consumatori, non riusciamo a determinare in pieno la selezione dei siti produttivi, stabilendo con le nostre scelte chi deve chiudere e chi deve continuare a produrre è perchè non siamo abbastanza maturi incentivare da soli questo cambiamento. Purtoppo capita ancora oggi, girando un pò per l'Italia, di bere delle birre cosiddette artigianali veramente indegne, fatte da pseudo birrai professionisti che non rispettano non dico le tecniche o procedure base di birrificazione ma neppure quelle norme minime e basilari in materia igienico sanitaria, mancando rispetto alla propria professione e soprattutto ai consumatori che sono il nostro patrimonio. Malgrado tutto, alcuni di questi esercizi sopravvivono per anni, incuranti della qualità e approfittando del consumatore meno preparato. Quando gestivo il mio primo brewpub ("Caravanserraglio"), dopo qualche anno nella mia città ha aperto un grosso brewpub con un cospicuo investimento di denaro. Finalmente si muove qualcosa, ho pensato. Dopo un pò di tempo dall'apertura di questo nuovo brewpub, ubicato in posizione centralissima in città, in un locale molto ampio, tecnologico e con un grosso investimento pubblicitario alle spalle, assisto ad un aumento di scetticismo verso la birra artigianale, soprattutto da parte di clienti che per la prima volta frequentavano il mio locale. Molte persone venivano per la prima volta nel mio locale e chiedendo una marca di birra che non avevo, dato che proponevo solo la mia produzione, ripiegava su altre bevande, senza neppure che avvenisse un assaggio della mia birra. A quel punto più volte ho chiesto motivazione e ogni volta mi è stato risposto: "Non mi piace la birra artigianale." Meravigliato ho chiesto dove l'avessero bevuta ed ogni volta mi è stato risposto che l'avevano assaggiata nel nuovo brewpub della Spezia. Compreso l'arcano mi sono recato nel nuovo brewpub dove ho potuto verificare di persona che quello che proponevano era tutto fuorché birra ma il gestore e il personale si giustificavano con i clienti esterrefatti che la birra artigianale è così, un pò diversa, può piacere o non piacere. Questo ha provocato sicuramente danni alla mia attività e alla reputazione della birra artigianale anche perchè questa attività ha chiuso solo dopo molti anni. Questo lungo esempio per dimostrare che il solo libero mercato non riesce a fare una selezione in termini qualitativi, soprattutto in un campo dove il consumatore finale non è ancora completamente emancipato e preparato. Dobbiamo difenderci dalla grande industria che impone gusti, prezzi, tempi e regole ma anche da mistificatori impreparati che hanno poco a che fare con il mestiere di birraio. Urge una regolamentazione più consona a queste piccole industrie, anche dal punto di vista fiscale, che rispecchi le realtà esistenti e che imponga delle regole e delle abilitazioni per l'esercizio di questo mestiere. Ma urge, soprattutto un codice "deontologico", di stile e di comportamento e dei controlli severi di qualità per chi si appresta a praticare questa arte.

Sa che il nostro portale si preoccupa di informare i suoi lettori dei benefici che questa bevanda possiede. E non ci riferiamo solo al basso contenuto calorico, ma anche alle ricerche di settore, che ne segnalerebbe delle virtù molto interessanti. Faccio anche a Lei una domanda a cui teniamo. In Spagna, che attualmente ha un consumo maggiore dell'Italia, è stato creato un Centro di Informazione Birra e Salute. Secondo Lei sarebbe possibile investire in tal senso anche in Italia, ovvero rendendo i consumatori molto più consapevole degli effetti benefici che ha questa bevanda, mettendo in risalto anche l'aspetto del consumo moderato e consapevole?

Penso sia molto utile, soprattutto nel quadro di regolamentazione che auspicavo sopra. Il dovere di informare il consumatore, nel settore degli alimenti, fa parte di un quadro etico al quale non si deve esimere nessuno. Maggiore informazione deve esserci non solo per quanto riguarda gli aspetti salutistici della birra, senza dover criminalizzare troppo quelli dell'alcol, ma soprattutto bisogna obbligare noi produttori ad una maggiore trasparenza sulla qualità del prodotto, indicando con maggiore precisione gli ingredienti, il grado originale, le scadenze, i metodi di conservazione, il lotto di produzione, se la birra contiene estratti o zuccheri ecc.

Quanto importante considera lo studio del bicchiere in cui versare la birra, ovvero la scelta del bicchiere corretto per esaltare le qualità la sua bevanda?

Anche questo aiuta ad un maggior apprendimento e sensibilizzazione verso una migliore degustazione, ma reputo siano più importanti altri fattori come la possibilità da parte del consumatore di controllore della qualità e la trasparenza della filiera produttiva.

Ha in mente per il futuro prossimo qualche nuova creazione, o qualche specialità, che vuole anticiparci?

Durante il periodo natalizio abbiamo prodotto una birra celebrativa sulla variazione della nostra scotch ale, abbiamo idea di produrre una wheat ale in puro stile inglese. In generale l'idea sarebbe quella di produrre sempre qualche birra stagionale da affiancare alle tre birre standard.

Cosa ne pensa del mondo birrario artigianale, ovvero del modo col quale si sta procedendo, le scelte che si sono fatte in passato e se ha delle proposte per rendere i consumatori più consapevoli delle differenze radicali che esistono tra birra industriale e artigianale.

A questa domanda penso di aver già risposto in maniera abbastanza esplicita, quello che posso aggiungere è di poter lavorare per incentivare gli acquisti collettivi di materie prime, per avere un migliore rapporto contrattuale e di intraprendere un'aspra battaglia per la riduzione dell'accisa (in pochi anni da 2710 £ a 1,97 € per finire all'aumento di questi giorni a 2,35 €) e semplificazione delle procedure di istituzione di deposito fiscale.

Da parte nostra, impegniamoci a mantenere i prezzi di vendita più bassi, special modo chi ha un brewpub dove si denunciano ricarichi sul costo di produzione che superano abbondantemente il 1000%! Non si può pagare nessuna birra alla spina, industriale o artigianale che sia, 4-5 € il boccale da 40 cl.! Imponiamoci un prezzo "politico", equo o un listino di orientamento che  dia delle indicazioni in base al grado originale. Ho pagato delle bottiglie di birra artigianale, comprate alla fonte, anche 7-8 € cadauna, mi sembra una follia. Anche con una politica dei prezzi equa e giusta riusciamo a porci come alternativa consapevole alla birra industriale.

Febbraio 2006

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